Silicon Valley, ricovero di sociopatici

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Un caro amico, Giovanni Maddalena, professore di filosofia della comunicazione e del linguaggio, come me liberale (semplice), cattolico (normale), apòta (fermo), tifoso del Toro (radicale), ha recentemente frequentato una settimana di ricerca organizzata da Silicon Valley, mentre io leggevo Chaos Monkeys di Antonio Garcia-Martinez. Garcia è uno con tutte le skill giuste per scrivere delle felpe californiane: ex analista Goldman & Sachs, ex fondatore di una start up, poi venduta a Twitter, collaboratore di Zuckerberg (Facebook advertising). Per vie diverse tutti e tre siamo arrivati alle stesse conclusioni. La differenza è che io ci sono arrivato attraverso lo studio dei “segnali deboli” e dei comportamenti organizzativi conseguenti al modo di fare business, di fare management delle felpe californiane, mentre le analisi di Giovanni e di Antonio sono oggettive. A titolo introduttivo, tento una sintesi estrema di questo mondo: “sono imprenditori-manager allocabili nella terra di mezzo fra assoluta determinazione e sociopatia, hanno trasformato un valore, il capitalismo classico, in una versione bastarda, il ceo capitalism, che a sua volta ha trasformato i mercati (sani) in una gigantesca multicolorata batteria di slot machine, per di più truccate”.
Come sottolinea Garcia-Marinez, colà è nato un curioso protocollo strategico. Hai un’idea? Non basta, deve chiederti di quanti “miracoli” (quelli che stanno fra immaginazione e realtà) hai bisogno per sfondare. Se ti rispondi “zero”, sei un normale imprenditore, un normale manager, uno che crede ancora al capitalismo classico, rispetti la legge, paghi le tasse, vattene, non sei degno di Silicon Valley. Se ti rispondi “almeno uno”, allora sei una start up degna di esistere, quasi certamente fallirai, ma sei degno di competere fra sociopatici (la determinazione assoluta non basta). Se sfondi sai che il tuo destino, nel bene e nel male, è segnato. Dal gigantesco ottovolante di Silicon Valley non si può scendere, se la start up fallisce non essendosi verificato il miracolo, sarai espulso, scivolerai nell’oblio perenne del Web. Oppure entro un massimo di sette anni dovrai vendere. Nei banali matrimoni fra un uomo o una donna, che generazioni di idioti un tempo lontano hanno praticato, era in uso il verificarsi di una crisi del settimo anno, a volte i coniugi si separavano. In Silicon Valley entro il settimo anno devi comunque vendere la tua start up a uno dei duchi locali, quelli che hanno diritto alle ius primae noctis. Costui seguirà la tipica strategia del ceo capitalism, “uccidere nella culla” un concorrente che potrebbe un giorno diventare un temibile rivale, comprandolo. Proprio così, comprano la tua azienda per chiuderla, trattengono non i prodotti, non i processi, se superano difficili selezioni offrono un posto alla tua squadra, ma loro sono solo interessati alla sua “anima”, quella che è servita per avere successo. I duchi, ormai imbolsiti dal successo, hanno capito che il fiuto creativo si perde al crescere delle dimensioni, soprattutto dei profitti. Era sufficiente leggere il linguaggio del corpo di Zuckerberg durante la recente visita a Roma, mi ricordava il Bill Gates di una decina d’anni fa, pronto a dedicarsi a curiose fondazioni che distribuiscono miliardi di preservativi agli africani, convinti che costoro stupidamente li usino. E solo per questo tu sei un benefattore dell’umanità, nel frattempo non paghi le tasse e campi facendo lobbying.
L’anima dell’azienda acquisita ha un grande valore simbolico e pratico per rinvigorire la loro cultura d’impresa, perciò la comprano. La filosofia è chiara, utilizzare il modello capitalista per diventare monopolisti, questo il loro mantra “Se non creiamo noi la cosa che ucciderà Facebook, lo farà un altro”. Intanto cominciano a uccidere i potenziali concorrenti, noi imbevuti del capitalismo classico, liberali semplici (e sempliciotti) non ci avevamo pensato.
A Giovanni Maddalena, anche nella sua veste di Presidente dell’Associazione Difendiamo il Futuro, e a Antonio Garcia-Martinez, ho una sola domanda da porre: “Siamo ancora in una dimensione di libertà e di progresso secondo i classici principi liberali o stiamo entrando in un mondo configurato in modo tale da avere nei vertici decisionali e gestionali, nei gangli più delicati del potere, dei sociopatici terminali, travestiti da finti adolescenti perbene?
2www.riccardoruggeri.eu

 

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