Guai a sottovalutare i due nuovi Nobel dell’Economia

Lo confesso, mi sfugge perché in Italia molti abbiano contestato l’assegnazione del Nobel per l’economia a Oliver Hart e a Bengt Holmström, anche se il rapporto di rispetto verso questa istituzione per me si è chiuso quando non hanno dato il Nobel per la letteratura a Jorge Louis Borges. La filosofia del premio è riconoscere a posteriori, e mi pare corretto, studi che abbiano dimostrato nel tempo il loro valore (per questo non l’hanno mai dato a un genio assoluto come il fisico Stephen Hawking, le sue teorie sui buchi neri, per ora, sono indimostrabili). In questo caso hanno premiato un loro studio giovanile sulla teoria dei contratti. Ai più può apparire una problematica di scarso respiro culturale, trattandosi di fatti all’apparenza para notarili, in realtà i contratti permeano gran parte della nostra vita sociale in svariati campi e incidono sulle prospettive future delle aziende e dei paesi. I due studiosi non hanno ricette o protocolli per dare risposte puntuali a certe problematiche, ma hanno studiato quali criticità ci sono in quelle zone grigie ove si creano asimmetrie o rapporti di forza nuovi, incidenti sulla realtà dell’economia.

Prendiamo ad esempio uno dei temi meno conosciuti dal grande pubblico, quello del rapporto che regola il rapporto fra gli azionisti e il Ceo di una grande multinazionale Questa è, per definizione, una relazione necessariamente imperfetta in quanto nel contratto non si possono definire tutti gli aspetti operativi e le relative variabili. Come fa l’azionista a capire se il Ceo ha fatto le scelte migliori? Non hanno una risposta, semplicemente perché questa non esiste. Se l’azionista dovesse imporre un protocollo al quale il Ceo dovesse per forza attenersi, per esempio vincolandolo ai risultati, al verificarsi di situazioni estreme, una normale camicia di spesso gabardine potrebbe trasformarsi in una camicia di forza, compromettendo il risultato finale. E’ il grande dilemma dei bonus, e ancor più delle stock option, rispetto al dilemma principe del management e del business: il conflitto strategico fra breve e lungo termine. Gli studi di Hart e di Holmström hanno dato origine a due filoni di approfondimenti: a) capire, anche attraverso esperimenti di laboratorio che simulassero le diverse tipologie di contrattualistica, come e quando si creano dei disallineamenti, e come e quando incentivi e disincentivi li possano eliminare; b) un confronto con il mondo dei giuristi, per capire come strutturare le norme per renderle più efficienti. Sul punto a) mi sento di dare un contributo, grazie a un esperienza diretta. Chiamato a dirigere un’azienda tecnicamente fallita, definii un modello di governance estremo, in presenza di una situazione estrema. L’azionista era con le spalle al muro, non aveva altre alternative, ottenni con facilità una delega estrema, comportarmi non più da Ceo ma da “padrone”, superando quindi tutti i protocolli standard, grazie anche all’assenza di bonus o di stock option, che rendevano il modello più credibile. Sul punto b) lo svizzero Massimiliano Vatiero, docente universitario di analisi economica del diritto, racconta come, sulla base degli studi dei due premiati, abbia affrontato alcuni aspetti regolatori nel rapporto statuale Svizzera-Italia, scoprendo come in presenza di regole simili dei due paesi, la qualità delle istituzioni siano così diverse da costringere le aziende svizzere a non investire in Italia. Questa asimmetria, il cambio della moneta, le differenze salariali, diventano insuperabili barriere all’ingresso.

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