I 20 ANNI DELL’EURO: DA TGV A TRENO MERCI

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Il primo gennaio 1999 ci fu la partenza del treno Euro. Aveva le fattezze di un luccicante Tgv. Vent’anni dopo sembra un treno antico, adatto più alle merci che ai passeggeri. Malgrado l’evidente parziale fallimento, nella cabina di guida ci sono sempre i soliti noti. Peccato.

Ho riletto, con senile precisione, i miei (amati) ritagli cartacei dei giornali di allora. Nel 1999 si percepiva l’entusiasmo di vivere una nuova avventura, pareva fossimo tornati al primo dopoguerra. Per quel che vale (nulla), allora io all’Europa e all’Euro ci credevo, eccome. Anzi mi ero perdutamente innamorato di entrambi. Era certo che avrebbe saldato il processo di integrazione di tutti i Paesi europei partecipanti, con l’obiettivo (alto) di far diventare l’Europa una grande potenza mondiale, con forze armate alla pari di America, Russia, Cina, per affrontare le sfide di un secolo, che un anno dopo sarebbe iniziato. Mi era chiaro che la mitica pace di 70 anni, tanto strombazzata dai colti, era stata mantenuta grazie alle basi e alle atomiche americane e ai rifornimenti di petrolio dal Medio Oriente. Ci pavoneggiavamo che i nostri figli e nipoti frequentassero l’Erasmus, ma nessuno aveva detto loro che dovevano ringraziare i boots on the ground di giovani soldati americani (tutti neri e bianchi poveri), andati a morire in Iraq, in Afghanistan, in Siria, per garantirci il petrolio per vivere alla grande, senza meritarlo. 

Mai avrei immaginato che vent’anni dopo, anziché festeggiare con ricchi premi e cotillons la maggiore età dell’Euro, si fosse prodotta questa atmosfera plumbea, malsana, peggio questo fuggi fuggi generale da quel sogno. O ancora l’aumento esponenziale di quelli che si tolgono la giacca (diventata nel frattempo lisa) per indossare un gilet giallo plastificato e scendere in piazza contro i bobo .

In effetti, vent’anni dopo non c’è nulla da festeggiare. Anche noi cittadini comuni abbiamo capito che fu sufficiente un fenomeno banale come la potenziale insolvenza della Grecia (erano quattro gatti sprovveduti, ora sono quattro eurolobotomizzati) per scoprire che gli euroburocrati non erano dei medici, ma degli infermieri, capaci di distribuire “cerotti”. Altro che grande potenza politica, economica, militare. Inutile prendersela con costoro, convinti di aver sempre ragione, hanno perso da tempo il contatto con la realtà.

Come avevano previsto alcuni economisti in tempi lontani, l’aver imposto, dall’alto, una moneta sconosciuta, su una realtà economica per nulla omogenea, avrebbe comportato che l’Euro, da potenziale strumento di unione, si sarebbe via via trasformato in strumento di divisione. Gli “inetti involontari” (non so come altro definire costoro) hanno così trasformato l’Europa, e la sua moneta, in un gomitolo sempre più ingarbugliato, i cui nodi ora stanno arrivando al pettine. Personalmente, l’Euro di certo non lo combatto, sono neutro come la maggioranza degli italiani, ma non lo amo più come allora, mi limito a sopportarlo, sperando che torni quello che avevo sognato: un franco svizzero.

Il finale era apparso subito ovvio per le persone di buon senso: non si può sostituire la politica (è sangue e merda, cioè vita) con dei ridicoli trattati, totalmente slegati dalla vita vera. Abbiamo costruito un gigantesco grattacielo finto green sulla base delle sole esigenze di quelli che occupano, da sempre, attico e superattico, senza avere il consenso e rispondere alle esigenze di quelli sotto.

L’Euro, e sua mamma Europa, da sogno si stanno trasformando in incubo. Il crescente, inarrestabile impoverimento dei ceti medi e bassi avrà spezzato per sempre questo sogno? I gilet gialli sono degli esaltati o delle persone perbene in preda alla disperazione? Non lo so, di una cosa sono però certo: per noi italiani è venuta l’ora di pensare a noi stessi Non perdiamo tempo a parlare e operare per “uscire” dall’euro. Non possiamo, tecnicamente, farlo, inutile quindi farci seghe mentali su questo aspetto. Solo Germania e Francia potranno, congiuntamente, farlo, e lo faranno o non lo faranno solo in base ai loro interessi, come hanno sempre fatto (sono loro i titolari di questa grande bottega).

Noi italiani siamo follower, per ora meglio stare a cuccia, e aspettare. Cari giallo verdi, vi chiediamo solo di: a) governare l’immigrazione e la sicurezza (ebbene sì, anche quella percepita); b) cercare di rendere la vita meno grama ai cinque milioni di poveri che il Ceo capitalism ha creato, ma chiamatelo con il suo nome, assegno di povertà, non reddito di cittadinanza; c) risolvere giorno per giorno problemi comuni nella loro apparente banalità, che per i cittadini comuni sono importanti. Se nel 2019 fate questo, a noi basta e avanza. Per intervenire sul “pilota automatico” è presto, noi cittadini non siamo ancora maturi, e voi, oggi, non ne sareste neppure all’altezza.

Buon Anno!

riccardoruggeri.eu

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