Mi raccomando, signora sindaco,
me la tratti bene la mia Torino

Gentile dottoressa Appendino, premetto che non sono un pentastellato (per un liberale, mi creda, è inconcepibile che si possa avere un reddito a sbafo), ho votato per lei solo perché costretto, ho subìto questa imposizione del ballottaggio, pensi, proprio io che sono per il proporzionale puro e per i referendum popolari multipli, stile svizzero, modello odiato dai bramini, come sa. Mi devo abituare al nuovo corso, con da una parte il Partito della Nazione (bramini di destra e di sinistra), e dall’altra quel che resta dei paria della politica italiana.

Non ho nulla da chiederle, come torinese doc non mi permetto certo suggerimenti, ma alcune riflessioni sì, su quello che i giornali chiamano “Sistema Torino”. Per noi torinesi locuzione ridicola, che sa tanto di schedina del Totip. Non riesce certo a descrivere l’enorme cappa di smog e di polveri sottili che per cinquant’anni è gravata su di noi, però, immagino grazie a Don Bosco, è sempre restata fuori la punta della Mole (solo lei guardava le stelle).

Specie nei momenti più bui, e sono stati tanti, l’ho considerato un segnale di speranza per un futuro migliore. Pensi, dalla mia mansarda di via Po, sdraiato sul letto, vedo sia la Mole, sia Superga, che gioia.

Torniamo al ’68. Dopo lo choc iniziale le élite della città sentono la necessità di un compromesso storico (metropolitano), fra una Chiesa-partito (Pci) e una Chiesa-ditta (Fiat). In un primo momento le due Chiese si annusano, poi l’accordo tende a configurarsi come un conciliabolo. Via via che i due contraenti si conoscono meglio, i loro rapporti si fanno sciolti, evolvono verso una congregazione (con alte connotazioni corporative). Passano i lustri, la struttura comincia a degradarsi, ovvio, siamo alla maturità del modello. Entra allora in campo un terzo soggetto, la Banca (San Paolo), le connotazioni si radicalizzano, assumendo le caratteristiche di una conventicola. Nuove persone al potere, nuove generazioni sempre più arroganti pretendono di sedersi a tavola scompostamente, la vecchia città di Valletta si trasforma in una Torino da bere, sciatta, volgare, corrotta, lo scambio delle “poltrone” fra le tre Chiese si fa frenetico, le giustificazioni etiche diventano sempre più labili, un nuovo degrado è alle porte. La conventicola si tramuta in setta. Il timore era, come succede quando non c’è più nulla da spartirsi, che si scivolasse verso clan in perenne guerra fra loro.

A questo punto le vecchie periferie operaie e le élite liberali (perbene) del centro e della Crocetta (minoranze risibili, queste ultime) hanno detto “nnuma basta”, votare lei è stato ovvio, perché costretti dal meccanismo elettorale del ballottaggio. Le è chiara l’analisi?

Stante la mia lunga esperienza gestionale di aziende in crisi, mi permetto un solo suggerimento. Faccia eseguire da tecnici di sua assoluta fiducia, ripeto assoluta (eviti le losche multinazionali anglosassoni), un audit feroce e dettagliatissimo sul passato, poi intervenga chirurgicamente sulle infinite metastasi (le regalo due chicche: non esistono sprechi non legati a persone e  il vero leader è colui che sa dire no).

Fino a quel momento non prenda decisioni, studi, rifletta, valuti opzioni. Dopo l’audit, se del caso, operi.

Non cada nelle infinite trappole mediatiche (e non) che le prepareranno.

Non permetta che i lobbisti entrino in Comune, lobbying in italiano si traduce corruzione.

Si abitui a vivere in solitudine (eviti i cerchi magici), più un leader è solo meglio fa, visto che oltretutto fra cinque anni lei uscirà di scena. Lo consideri un privilegio non dover essere rieletta, la sindrome da rielezione fa nascere nel politico una tempesta ormonale che lo devasta, e lo perde, per sempre.

Poi lei è fortunata, Torino ha un’eccellente Procura della Repubblica.

Buon lavoro, signora sindaco, e buona fortuna alla mia amata Torino. Mi raccomando, me la tratti bene.

editore@grantorinolibri.it
@editoreruggeri

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