E se gli scafisti libici fossero raffinati manager alla californiana

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Cari amici del Blog, quello sotto è un Cameo di tipo “difensivo”, ma con una sua innovatività formale. Per un analista indipendente (anche economicamente) è sempre più difficile criticare l’establishment (anche per chi come me ne fa parte, e vorrebbe non si suicidasse: in certi momenti storici per la classe dominante fare un passo indietro, piuttosto che perdere tutto è sintomo di intelligenza), senza incorrere nel disprezzo intellettuale dei tuoi colleghi. Ho scelto di rendere esplicita una metodologia che ho usato nello scrivere il libro “America. Un romanzo gotico”. (Un mix di “segnali deboli”, “approccio controintuitivo”, categorie del business applicate alla politica, privilegio dell’impressionismo sulla fotografia, frullare e impiattare con fogliolina di mentuccia).

In questo caso, per l’analisi mi sono messo nei panni del Ceo degli scafisti libici (non so chi sia, ma non credo sia molto diverso da quello di Silicon Valley). Ipotizzo che costui abbia capito la necessità di modificare il suo modello di business, sfruttando la parte debole della controparte: le Ong (che siano in buona o mala fede dal punto di vista strategico è indifferente). Il suo obiettivo è attirare le navi delle Ong, e poi progressivamente quelle Frontex e Guardia costiera al livello delle 12 miglia libiche per ottimizzare il business (abbattere i costi e al contempo aumentare la sicurezza per i passeggeri). Questa la business idea.

Al lettore il messaggio dovrebbe arrivare come fosse una sua idea-sensibilità, ove l’autore del pezzo l’ha semplicemente messo in bella. Vedremo. Grazie dell’attenzione, rr

 

E se gli scafisti libici fossero raffinati manager alla californiana?

Su La7 ho ascoltato un dibattito sull’infinito tema dell’immigrazione via mare. Si è chiuso nel modo solito: insulti fra i “buonisti” (élite salottiere e sinistra) che usano l’atomica verbale (“vergogna, volete farli annegare tutti”), e i “cattivisti”, in questo caso mosci, visto che nessuno si è chiesto perché l’accordo, a titolo oneroso-omertoso (6 miliardi €), fra Angela Merkel e il Califfo Erdogan, per sigillare il confine con la Turchia, non possa essere ripetuto in Libia. Come in fondo fece Berlusconi con Gheddafi. Che differenza ci sia fra il duo Merkel-Erdogan e il duo Berlusconi-Gheddafi mi sfugge. Però, per la prima volta, un politico dell’establishment (non è un’offesa, anch’io mi considero establishment), Stefano Parisi, ha parlato chiaro, ha suggerito di accendere i riflettori su un sottoprodotto di questa politica, cioè sulle Ong. Di fronte a un fatturato di oltre 4 miliardi (tutti quattrini delle nostre tasse) assegnate alla gestione dei migranti, la necessità di un audit feroce si impone. Chapeau a Parisi!

Su Matrix Nicola Porro ha scavato in profondità sul ruolo delle Ong avvalendosi del Procuratore di Catania, costretto a indagare con una strumentazione investigativa (quella dei servizi segreti) non idonea in termini giudiziari. E pure di una delle migliori menti del giornalismo, Maurizio Molinari, e di un maturo Luigi Di Maio. Provo a dare anch’io un contributo, leggendo questo fenomeno come farebbe un ceo.

Esaminiamo lo scenario nel quale si sviluppa il business dei 4 miliardi anno, in crescita, visto che le stesse Ong teorizzano una migrazione epocale di popoli africani e orientali verso l’Europa, ergo un business epocale. La legge del mare, che impone a qualsiasi nave di salvare i naufraghi portandoli dove era previsto l’attracco, è stata modificata imponendo un porto italiano. Poi c’è Frontex, con lo scopo di difendere i confini europei nel Mediterraneo, se del caso portarli in Italia. Curiosamente, alcune Ong si sono fatte pure loro delle miniflotte, classificate come mercantili. Alla nostra Guardia costiera compete il coordinamento: è impeccabile.

Applicando le categorie del business a questo problema, a mò di ironico divertissement, provo a simulare un possibile modello strategico degli scafisti, coerente con questo scenario:

  1. Per abbattere i costi, visto che pare abbiano autoridotto i prezzi del nolo, meglio non spingersi molto oltre le 12 miglia e “consegnare” così i migranti in condizioni di maggior sicurezza all’utente finale (Ong o Guardia costiera).
  2. Per ottimizzare il rapporto costi-benefici, impiegare gommoni di basso costo, che abbiano una vita limitata, in modo da andare alla deriva o di affondare appena completato lo sbarco sulle navi soccorritrici, ricuperando gli scafisti nel limite delle 12 miglia, con moto d’acqua. Quindi, meno rischi per i migranti, meno costi per loro, niente galera agli uomini del front office.
  3. In termini umanitari, devono tassativamente informare le navi delle Ong al di fuori delle acque territoriali del prossimo naufragio. Idiota pensare, come fanno alcuni, che essendo già stati pagati vogliano la morte dei passeggeri: significherebbe la fine del business.
  4. Che le navi Ong informino subito la Guardia costiera del prossimo naufragio è atto dovuto, così l’autorizzazione ufficiale che ricevono di intervenire, visto che loro sono, spesso casualmente, le più vicine.
  5. Per il successo di questa strategia è fondamentale che le navi siano il più possibile vicine alle coste libiche. Tutto si gioca sulla definizione delle regole di ingaggio della nostra Guardia costiera. A seconda di dove i politici decidono di posizionare le navi (tutte), o a livello della nostre acque territoriali oppure a quelle libiche,  lo scenario strategico cambia radicalmente. Gli scafisti hanno scommesso che almeno le navi Ong siano in prossimità delle coste libiche. Questa la geniale business idea.

Come studioso di modelli di business e di organizzazione, mi sento di paragonare il nuovo modello degli scafisti libici a una nota app californiana, di cui rispetta tutti i presupposti metodologici e ideologici, mettendo al centro gli interessi del consumatore (i migranti), disinteressandosi del resto. Preclaro esempio di disruptive innovation. Prosit.

Riccardo Ruggeri

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