Da quando ho pubblicato il mio ultimo libro “Il Cancro è una comunicazione di Dio” la “democrazia diretta” (comunicazionale) che, da tempo, ho instaurato con i lettori che mi seguono sui diversi media in cui compaio, ha avuto un’impennata. Il numero si è quasi raddoppiato. Un amico mi ha fornito la spiegazione con la sua nota, simpatica brutalità: “Pur non conoscendoti di persona, si sono affezionati a te per i tuoi scritti (in realtà, tu non lo sai ma i tuoi Camei, che io non sempre condivido, creano dipendenza culturale e umana), hanno paura che tu muoia presto, vogliono sfruttarti. Si chiama saggezza popolare”. Penso sia una spiegazione cinica ma possibile, che io mai avrei osato esplicitare, per un ovvio pudore di uomo nato negli anni Trenta del secolo breve.
Sono tutte mail (o telefonate) firmate e provengono, nel 70% dei casi, da lettori di vari profili culturali, con una netta prevalenza di donne (di ogni età) e di giovani (specie operanti nel mondo dell’information tecnology e delle discipline scientifiche). Questa che ho deciso di pubblicare, rappresenta un caso interessante, almeno per me, perché LL è vissuto e ha lavorato nelle due città europee che più sono impregnate, ovviamente dopo Silicon Valley, dello stile di vita imposto dal Ceo capitalism. Città meravigliose e orrende al tempo stesso. Ecco la mail di LL:
“La mia attività (mi occupo di chirurgia robotica) mi ha portato a risiedere in alcune città nordeuropee (Bruxelles e Stoccolma su tutte). Pur amando queste città, mi turba il dubbio che in questi Paesi la globalizzazione, la finanza pervasiva ed il politicamente corretto si siano radicati in maniera irreversibile, snaturandoli completamente. Al di là delle apparenze, l’impressione è che vivano una crisi ancora più profonda di quella italiana. Mi chiedo perché questi fenomeni debbano aver attecchito in Paesi così straordinari e se il nostro “provincialismo” possa averci in parte riparato dalle forme più estreme della modernità. Mi farebbe piacere avere una Sua opinione al riguardo. Grazie per quello che scrive, leggerla è per me stimolo alla comprensione e fonte di ottimismo”. Firmato LL.
Questa mail è, curiosamente, arrivata il giorno in cui con il mio giovane amico accademico, coautore del prossimo libro sul Ceo capitalism, abbiamo definito gli ultimi plinti sui quali poggiare la struttura del libro. Nella nostra visione il Ceo capitalism (il capitalismo dei supermanager che ha sostituito quello classico degli imprenditori) prevede un bassissimo rischio personale dei suoi protagonisti, che molto spesso truccano le carte dell’economia, alterando il mercato grazie a una sistematica consorteria con la politica, con gli organi di controllo, e in certi casi pure con i media. I trucchi sono supportati da grandi capacità comunicative, creazione di artificiali stili di vita, parole d’ordine che costituiscono il politicamente corretto del mondo occidentale, autentico substrato culturale che copre il nostro mondo di orrende polveri sottili.
Si potrà discutere se questo “gioco delle tre carte” sia il frutto di una cultura affermatasi per tanti anni nelle più importanti università occidentali, ovvero sia la ragione del formarsi di quella stessa cultura. Se venga prima la cultura o l’economia non è tema in discussione nel nostro libro, ma di certo l’idea marxista che l’economia sia al centro di tutto non ci eccita per nulla. A maggior ragione è inaccettabile un mondo ove il “consumatore” sia gerarchicamente superiore al cittadino lavoratore, e lo stile di vita superiore alla vita. Per questo il Ceo capitalism che non ha nulla di “moderno”, anzi è vecchio come il cucco, trattandosi di un banale trucco intellettuale, non può che essere un nemico per le persone perbene.
Caro LL la sua analisi, vissuta sul campo, è impeccabile e dobbiamo ringraziare quello che lei chiama, con felice intuizione linguistica, il “nostro provincialismo” se la quasi totalità degli italiani si rifiuta di seguire queste élite intellettualmente truffaldine, e pure con la puzza al naso. Sono ottimista, perché molti di noi delle élite stanno prendendo le distanze da questo mondo in declino, pieno di gratuite cattiverie, tipiche del fine corsa di una generazione vincente e sconfitta al tempo stesso: la mia e quella dei baby boomer.