Renzi, Di Maio, Salvini, non sono certo dei Mandrake, al massimo dei Lothar leopardati

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Le primarie repubblicane del 2016 incoronarono l’outsider Donald Trump, dopo che questi si era sbarazzato di una dozzina di avversari riconducibili all’establishment rep, aprendogli la strada alla Casa Bianca. Mi chiedo: “Le primarie del Pd potrebbero decidere le elezioni politiche italiane del 2018?” Secondo me sì, specie se si verificasse uno scenario estremo come questo: al ballottaggio vince Andrea Orlando, e Renzi, seguendo il suo istinto di politico alfa, se ne va, costruendo finalmente il mitico “Partito del Paese”, versione agricola (Martina) del partito della nazione. Decisione politicamente discutibile, ma per lui obbligata: con Orlando segretario, Dario Franceschini candidato premier, il rientro nel Pd della Ditta di Bersani, che farebbe lui all’opposizione? Sarebbe un’umiliazione inaccettabile, tollerabile per stomaci dorotei o miglioristi d’antan, non certo per il suo, in costanza di perenne iperacidità.Da sempre la penso come il Foglio, c’è uno spazio per costruire finalmente il partito della nazione che raggruppi tutta la parte migliore (!) del paese (l’establishment e le sue staff): Matteo Renzi ne sarebbe il leader naturale. Quanto varrebbe questo partito in termini elettorali? La mia valutazione è semplicistica: le élite “pesano”, diciamo il 10%, stante però il potere di cui dispongono, questo nuovo partito potrebbe valere il 20%. Di contro il Pd, senza Renzi ma con i diversi cespugli sinistri, avrebbe similitudini con il tedesco Die Linke , e potrebbe valere intorno al 20%. La somma dei due rappresenterebbe il famoso “livello 40” (establishment più sinistra) delle elezioni europee.

Resterebbero Destra e M5s a spartirsi il rimanente 60%. Avendo entrambi leadership inidonee, rimarrebbe la situazione statu quo ante bellum. Per trent’anni abbiamo avuto al potere leader politici di destra o di sinistra stile G7, questi avevano in comune, sì l’idoneità (formale) ma pure l’inettitudine (sostanziale, e i risultati consuntivati lo confermano). I “nuovi” appaiono sia inidonei che potenzialmente inetti. Sostituire gli uni con gli altri non comporta né un miglioramento, né un peggioramento dell’esistente. Ad esempio, sostituire Matteo Renzi con Luigi Di Maio o con Matteo Salvini, dal un punto di vista dei risultati attesi, sarebbe irrilevante, salvo un segnale di discontinuità: chi ha fallito deve andare a casa.

Alla Bocconi si è svolto qualche giorno fa un convegno su “Europa e sfide globali”, con un parterre ove c’erano i più prestigiosi reduci della globalizzazione. Il professor Richard Baldwin ha trovato la locuzione perfetta per connotare la bestia nera di costoro: il populismo (questo orrendo diavolo che giace ogni notte accanto a noi cittadini, possedendoci ripetutamente). Eccola: “Il populismo è l’idea che il popolo è puro, mentre le élite sono corrotte”. Sorridendo, ho imbracciato la mia carabina ad aria compressa, ho subito sparato … un tweet: “Dire: il popolo è puro e le élite corrotte è un falso. Il popolo è moderatamente corrotto”.

Siamo entrati in un periodo culturalmente molto difficile, ma dobbiamo viverlo serenamente, tante cose succederanno, ma nulla cambierà. Continueremo a trovare tutto insopportabile, e in effetti lo sarà, ma continueremo a sopportarlo. D’altro canto, le attuali élite hanno governato per trent’anni, seguendo un certo modello (poi rivelatosi fallimentare) e con certi comportamenti (spesso sciagurati), sarebbe folle pensare che possa arrivare un Mandrake e voilà, un colpo di bacchetta e cambia tutto. Nella vita reale, Mandrake non esiste, accontentiamoci di qualche Lothar, più o meno leopardato, e ogni notte, posseduti dal diavolo populista, sogniamo un mondo migliore, senza costoro. Almeno il sogno è solo nostro.

Riccardo Ruggeri

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