A Capalbio razzismo e cultura sono incompatibili

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A me, Angelino Alfano ultima versione (governativa) piace. So che gode, sia a destra che a sinistra, di pessima considerazione, ma io scevro come sono da pregiudizi, lo giudico in base ai fatti e ai suoi comportamenti istituzionali, quindi riconosco che come Ministro dell’Interno si comporta bene. Per esempio, la mossa strategica fatta nella notte di San Lorenzo, quando cadono le stelle (metafora voluta o casuale?), di imporre 50 rifugiati in quel di Capalbio è stata perfetta. Apro una parentesi personale. Nell’adolescenza, nei tre mesi estivi in Garfagnana ero aiuto pastore di mio zio, mi innamorai di quelle 21 (pecore)+1 (montone), a ciascuna avevo dato un nome. Di più, mi sarebbe piaciuto d’inverno, in luogo della scuola, svernare con loro in Maremma; non conoscendola la immaginavo una specie di Arcadia. Quando da adulto andammo a Capalbio con i bambini per passarci le vacanze, dopo un giorno capimmo che una famigliola come la nostra, sarebbe stata ridicola se vestita alla marinara, non avevamo, per il luogo, le phisique du role (borsa frigo e ombrellone a baionetta), per cui nottetempo ripiegammo nella populista Follonica.
Il nuovo Corriere di Cairo non si è fatto sfuggire lo scoop sulle reazioni a questa invasione africana dei residenti travestiti da villeggianti, intervistando i maggiori rappresentanti della colonia alto-capalbiese, loro sì impeccabili nella loro divisa alla marinara. Non essendo interessato al gossip ho dato una lettura socio-politica alle diverse interviste. Ho capito che razzismo e cultura sono incompatibili. Mi sono concentrato, seguendo il modello intellettuale di Sergio Leone, su tre prototipi di capalbiesi (tutti emeriti): il principe, il politico-intellettuale, il manager-imprenditore.
Confesso che mi sono avvicinato a queste interviste pieno di preconcetti, trattandosi di una fauna sia radical, sia chic (Furio Colombo vuole che le due tipologie non si mettano insieme) a me non particolarmente simpatica. Mi sono subito accorto dell’errore. Erano simpatici, cioè erano come me, come il popolino, perché parlando degli immigrati facevano la stessa nostra premessa “non siamo razzisti, ma ..” Dopo, il linguaggio si faceva rotondo, raffinati gli incisi, impeccabile la terminologia usata, allora capivi che costoro, depurati dello smalto sulla lingua colta, nella sostanza erano sulla medesima lunghezza d’onda di Salvini, anche se il periodare da taverna di quest’ultimo, sentendo quello di costoro, da boutique, ti diventa subito insopportabile. Impeccabile lo scenario descritto dal principe (sembrava di essere ripiombati nel Cinquecento), straordinaria, per vivacità intellettuale e metafore di complemento, la descrizione del substrato culturale nel quale dovrebbero essere collocate queste 50 figurine Panini, da parte del politico-intellettuale romano. Però solo con l’intervento del manager-imprenditore queste analisi hanno assunto una forma comprensibile a noi populisti.
Questi non si occupa specificatamente del caso dei 50 capalbiesi terzomondisti, premette anche lui di essere esente dal morbo razzista (come non credergli), allarga il discorso all’intera problematica sottesa al dilemma immigrazione-integrazione, da inserire nel grande puzzle della società occidentale liquida e pikettianamente ingiusta e decadente. Dalla foto si capisce che lui è in spiaggia, e mi ci ritrovo in pieno: le idee migliori che hanno segnato la mia lunga vita le ho avute tutte sotto l’ombrellone. L’idea del manager-imprenditore? “Dare a tutti un lavoro, non permettere loro di bighellonare” (dal testo non si capisce se pagato o meno, comunque deciderà il mercato). Lo status di rifugiato lo vieta? “Rifiutiamoci di sottostare a questa sciocca burocrazia”. Giusto, “disruptive innovation” direbbe Uber. In effetti se tutti lavorassero, italiani compresi, le strade si libererebbero di quelli che bighellonano, e allora sì che saremmo nell’Arcadia sognata della mia adolescenza.
Ci sono momenti, come questo, in cui cado in uno stato di profonda prostrazione, allora mi convinco del mio progressivo rincoglionimento. Mi chiedo, sempre più spesso, perché queste idee geniali (lavorare versus bighellonare) a me non vengono mai?

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@editoreruggeri

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