Da alcuni mesi vado in giro a presentare (chiunque mi inviti, se ci sono i numeri, io accetto), il mio libro “Il Cancro è una comunicazione di Dio”i. Essendo del libro anche l’editore mi sono accorto che il titolo è fuorviante, l’ho imposto all’autore (sempre io) che invece voleva titolarlo “Il Cancro è una bad company” . Ho sbagliato: aveva ragione lui. In realtà è un libro di management, dove la morte è solo sullo sfondo, in quanto come uomo che vive immerso nella comunicazione (cartacea e social) sapevo perfettamente che il Ceo capitalism rifiuta, pardon, rimuove la morte, guai parlarne. Sono stato molto colpito dalla vicenda (umana) di Sergio Marchionne, esaltato in vita come un grandissimo personaggio (e lo era veramente), la sua storia (mitica) è stata compressa e liquidata in quarantotto ore. Poi su di lui è caduto l’oblio: è come non fosse mai esistito, mai uno straccio di citazione sulle molte cose intelligenti che ha detto, scritto, fatto.
Quest’epoca rifiuta la morte, il modello politico, economico, culturale impostoci da un pugno di mondialisti d’accatto, attraverso una dozzina di sociopatici californiani e cinesi, prevede una società di liberti che nel fine vita (da schiavi) non devono essere di peso alla società digitale. Se il tuo livello sociale è medio-alto, guai parlare con chicchessia dei tuoi problemi di salute, guai fare outing, il rischio di perdere ruolo e privilegi è altissimo. La cosiddetta ars moriendi non viene più insegnata come valore umano alto, la Chiesa si è chiusa nei suoi palazzi romani a bisticciare sulla pedofilia, ovvero fa concorrenza alle Ong: l’avremo mica persa? I laici vedono il dolore come un costo non compatibile con un welfare che la classe dominante non vuole più finanziare. So che non si può dire, ma io lo dico: laggiù in fondo, in filigrana, vedo l’inquietante scultura “Him” di Maurizio Cattelan. Passo dopo passo, stiamo tornando al mondo di “Him” che credevo seppellito per sempre sotto le macerie del Fürerbunker. Sbagliato, i segnali deboli che sia tornato ci sono tutti. Anzi “Him” temo non ci abbia mai lasciato.
Per fortuna (mia), a fine agosto 2018 è uscito per i tipi di Boringhieri Bollati il libro di un giovane studioso, Davide Sisto “La morte si fa social”. Ha dato pure un’interessante intervista a Carlo Silini del Corriere del Ticino. Sisto è un filosofo, si definisce un tanatologo e spiega perché ha scritto il libro. Un giorno riceve sul suo smartphone la notifica di Facebook per gli auguri a un suo amico, in realtà morto tre mesi prima. “Nel 2014 fatti come questo erano più usuali, ora meno” dice Sisto, “comunque era inquietante che Facebook ti invitasse a fare gli auguri a un morto”. Qui scatta in lui l’idea di studiare i meccanismi che stanno dietro al rapporto fra la cultura digitale e la morte, tenuto conto che dei due miliardi di utenti Facebook, 50 milioni sono morti. Ovvia conclusione: “Facebook è il più grande cimitero al mondo a portata di smartphone”.
Sono sempre più diffusi siti e programmi tecnologici, “bot” dove si cerca di far sopravvivere il morto alla sua morte fisica. Si inventano App che cercano di riprodurre in automatico le caratteristiche comunicative del morto, così che parenti e amici possano continuare a dialogare con lui. Ci pare essere nella famosa puntata di Black Mirror intitolata “Torna da me” dove il ragazzo bielorusso Roman Mazurenko, morto in un incidente stradale, rivive grazie alla sua migliore amica Eugenia Kuyda. Questa ha creato un “bot” che rielabora tutti i messaggi scritti da questo ragazzo quando era in vita in modo che i suoi amici possano chattare con lo spettro del morto. Una specie di seduta spiritica digitale (com’è lontana quella, analogica, dell’omicidio brigatista di Aldo Moro).
In Silicon Valley stanno lavorando alacremente a esperimenti di ogni tipo per rendere immortali le persone, c’è chi spende centinaia di migliaia di dollari per congelare il proprio cadavere, in attesa di riportalo in vita quando la tecnica criogenica diventerà operativa. Sono i cosiddetti “competenti”. Avranno pure curricula impeccabili ma restano dei cacciaballe cosmici. Chiudo con una battuta, purtroppo solo mia e appena nata (morta): “Presto, essere vivo non significherà che starai vivendo, e quando morirai resterai comunque, e per sempre, un utente Facebook (in sonno)”. Prosit.