Lavoro, altro che cipria olimpica

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Il “no” di Virginia Raggi alle Olimpiadi 2024 è un passaggio paradigmatico dell’attuale momento politico, da inserirsi nella confusa lotta di potere fra l’Establishment e chi vi si oppone. Gli uni, per rimanere al potere, essendo in gravi difficoltà, assumono tratti sempre più reazionari, anche se dissimulati nel linguaggio e nei comportamenti. Gli oppositori, il potere vogliono prenderlo, ma non hanno uno straccio di cultura di governo, e neppure la strumentazione tecnica minima per esercitarlo. E dire che a noi basterebbe molto meno: a) mandare a casa l’Establishment attuale; b) fare un’onesta ordinaria amministrazione, tanto, fin che siamo in Europa il modello funziona col pilota automatico di Bruxelles e di Francoforte, il Premier è ridotto a un allenatore dal ciclo breve. I Cinquestelle a Roma? Si occupino di spazzatura, di buche, di trasporti, lascino perdere le seghe mentali della politica. Sono tempi bui questi, tempi in cui le élite sono impegnate a ridistribuire la povertà, sventolando una crescita impossibile. Comunque tranquilli, quando toccheremo il fondo, ci sarà il rimbalzo, creeremo di nuovo ricchezza. Lo faremo con altre classi dirigenti, con altri modelli, il mondo non finisce certo con questi quattro poveretti. Se va tutto bene a fine 2017-18 degli attuali G7, ci rimarrà solo l’inglese May, quella di Brexit. Oggi è di moda iniziare i discorsi con “nel merito”. Ebbene nel merito allora aveva ragione Mario Monti (uno zero virgola di Pil non cambia certo la situazione 2012, visto che nel frattempo il debito, il vero indice che ci affossa, è salito da 1940 a 2250 miliardi), come oggi ha ragione Virginia Raggi a dire “no”. Una ricerca artigianale sulla Rete fornisce un dato incontrovertibile: l’ultima Olimpiade chiusasi in pareggio fu Los Angeles 1984 (sic!), solo perché, non avendo avuto concorrenti, dopo i flop di Montreal e di Mosca, ottenne l’investitura dal Cio senza sottostare ai costosi ricatti del Cio stesso: fu la prima e unica Olimpiade low cost. Sempre in Rete c’è un album fotografico intitolato “ecco cosa resta di alcune Olimpiadi”: vedendole, Antonio Conte direbbe “agghiacciante”. A me, torinese, il degrado da favela del villaggio olimpico di via Giordano Bruno, per citarne uno, a 10 anni dalle mitiche Olimpiadi, basta e avanza per giudicare costoro. All’Olimpiade di Los Angeles seguirono una collana di disastri. Secondo lo studio della Oxford University i costi reali di tutte le ultime Olimpiadi, estive e invernali, superarono del 156% i budget. Quelle della Grecia affossarono il paese per sempre, quelle di Montreal sforarono del 720% le previsioni, così ci vollero 30 anni per pagare i debiti fatti. I giapponesi di Nagano si sottrassero alle discussioni post, bruciarono un centinaio di faldoni di documentazione per non svelare tangenti e sconcezze varie, e il loro fallimento. Il “cip” per partecipare oggi a una Olimpiade è di 10 miliardi, prima del “moltiplicatore Oxford”, o li hai o no, tutti sono capaci a governare facendo debiti che pagheranno i nostri figli e nipoti. Per chi studia i comportamenti organizzativi delle élite, il filmato di Sky dell’arrivo di Malagò e della sua Corte in Campidoglio, dell’uscita sdegnata dopo 37 minuti di attesa (mitico il tweet di Antonio Polito “Mai una Signora aveva dato buca a Malagò”), infine, la sua conferenza stampa, valgono un’intera collana di libri di sociologia comparata. Discorso tutto a braccio, gestualità e tono alla Gassman (Vittorio), struttura del linguaggio da circolo del golf, pause da Actor’s Studio, ne consiglio la visione per capire i processi mentali di una classe dirigente ormai incapace di cogliere il cambiamento profondo nel quale ci ha portati, stanno (stiamo) collassando e loro pontificano. “Panem et circenses” funziona quando c’è crescita e i barbari non sono alle porte, non quando gli obiettivi sono tutti difensivi, senza uno straccio di strategia su “immigrazione, terrorismo, economia”; quest’ultima intesa come redistribuzione della povertà. Oggi ci vuole umiltà, lavoro (tanto), determinazione, silenzio, altro che cipria olimpica.

Riccardo Ruggeri

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