Capalbio, terra di anfitrioni sociali

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Un mio Cameo ferragostano su Capalbio è stato ripreso da importanti giornali e apprezzato in rete (Twitter). Stupefatto mi sono chiesto: chi sono io per giudicare individui così famosi che da una vita, anno dopo anno, hanno dedicato un mese (come fanno gli svizzeri per l’addestramento militare) al trasformare uno spicchio di Maremma in una moderna Arcadia? Sono nato e vissuto fino a quarant’anni da banale populista, per trenta sono stato immerso in un mondo soffusamente elitario, la cipria che vi ho carpito, via via si è dispersa, ora un populismo di ritorno mi attende. Allora un’autocritica si impone. Nel mondo delle élite, con ferragosto inizia la fase discendente della vacanza, quello che sotto l’ombrellone dovevano dirsi gli amici se lo son detto, un’altra stagione è passata, si ricorderanno com’era facile, seduti sulla punta del lettino, parlare col presidente, dall’alta politica al gossip. Curioso questo mondo. Tutti sono stati o sono presidenti di qualcosa, mai ho conosciuto un vicepresidente.
L’estate 2016 è stata una delle più tranquille, tutte le negatività sono avvenute all’estero, in Italia siamo vissuti, sereni, in un continuo déjà vu. Per i vip tutto èdéjà vu. Molto sentita la mancanza del gioioso Berlusconi d’antan, i magistrati si sono acquietati, Cantone ormai parla come un sociologo da talk. Il 99% delle élite è per il “sì” al referendum, per cui non c’è dibattito. Mosce le opposizioni, Di Maio si veste e parla come Forlani, Salvini si costringe in una maglietta da celerino per avere un servizio tv, dove arriva Parisi (Parisi chi?) si fa il vuoto. Su consiglio del suo guru Jim Messina, Renzi tace. Che mortorio senza lo scoppio improvviso della rivoluzione culturale maremmana. Ho molto amato questo striscia di Toscana marittima, quella povera di Follonica anni ‘70, quella piccolo borghese di San Vincenzo anni ‘80 (qua, grazie alla “passatina di ceci”, fui culturalmente sdoganato), per cui ritorno sullo scivolone di ferragosto e il dibattito che ne è seguito.
Dove hanno sbagliato i capalbiesi vip e no? Dove ho sbagliato io nell’analisi? Parto da me. Non ho approfondito se i 50 fossero rifugiati o immigrati economici, e neppure quale fosse la posizione dell’Arcadia maremmana sul dilemma accoglimento-immigrazione-integrazione. Seguire il lucido modello svizzero (confusamente lo fa pure Salvini), cioè rispetto assoluto della Convenzione di Ginevra sui rifugiati da guerre, prendendo tutti gli aventi diritto con automatico respingimento di quelli economici oppure, come suggeriscono Boldrini & Bergoglio, accogliere tutti quelli che arrivano? C’è chi mi ha ricordato come i capalbiesi vip si dividano fra “aristocratici” e “boiardi di Stato” (figura, questa, di un’epoca lontana, quella di Ciampi & Draghi, dopo di loro lo Stato è diventato nullatenente, inutili i boiardi). Dalle interviste si capisce che hanno due approcci diversi, sono riusciti a mettere in imbarazzo persino Saviano. Così come si sono spaccati i capalbiesi stanziali, da una parte i giovani operatori di aziende agricole o legate al turismo non vip, dall’altra quelli dell’establishment locale che si identificano da sempre con i vip.
Le élite, sia versione “aristocratici” sia versione “boiardi”, hanno sbagliato, specie in termini di comunicazione. I contenuti, il processo logico seguito, gli obiettivi sottesi, non erano male, ma il tono, la puzza al naso che si percepiva, la bocca a culo di gallina che si immaginava, erano sbagliati. I populisti sono tremendi, ormai non ne fanno passare più nessuna, sono come le telecamere di sorveglianza, riprendono tutto quanto riguarda le élite, e poi sputtanano, sputtanano.
Come ex élite (di complemento), come ex populista (dopo una certa età non sei né tofu né seitan), mi lancio in un suggerimento. I capalbiesi stanziali (giovani ed establishment) trovino un punto d’incontro, altrettanto facciano i capalbiesi vip (aristocratici e boiardi), quindi tutti insieme producano un “Manifesto”, stile Ventotene, seppur 2.0. Suggerisco “Capalbio, terra di anfitrioni sociali”. Comunque la si pensi, nel mondo occidentale hanno vinto i liberal, i pikkettiani, siamo tutti immersi nel loro brodo di coltura, siamo succubi del politicamente ed emotivamente corretto.
La soluzione del dilemma accoglienza-immigrazione-integrazione ormai non può più essere ridotta a un banale processo burocratico di moduli, sanità, logistiche varie,  e neppure “lavorare vs bighellonare”, come si è detto, ma sta diventando un processo culturale da affrontare di petto. E allora, se il futuro è l’integrazione degli immigrati islamici (diciamolo!), riprendiamo la cultura sette-ottocentesca del savoir vivre, del galateo, dell’arte della tavola conviviale. Suggerisco uno splendido libro dell’inizio del XIX secolo, Manuel des Amphitryons, di Grimod de la Reynière, riedito nel 2015 dal grande Tallone di Alpignano. Grimond, esteta del savoir vivre, principe di un mondo elitario che integrò, in nome della tavola, aristocrazia sconfitta e borghesia montante, diceva: “Il più grande oltraggio che potreste farmi è interrompermi nell’esercizio delle mie mascelle”. Prosit, cari amici di Capalbio.

 

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@editoreruggeri

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