Tranquilli, Kim non è un fesso, nessuna guerra nucleare all’orizzonte. Vladimir e Xi ci garantiscono

Molti lettori mi chiedono di scrivere un Cameo sul pericolo atomico della Corea del Nord. Lo faccio nell’unico modo (serio) che conosco: da ex manager di multinazionali, oggi cittadino comune, per di più vecchio q.b. (quanto basta, ndr). Premetto che non so nulla di dottrina militare, pur essendo affascinato dai discorsi degli esperti di geo politica, perché mi ricordano gli economisti: di riffa o di raffa loro sono i più intelligenti del reame.
Il bello (e il brutto) dell’opzione atomica è una banale percezione: vince chi fa credere di essere capace di premere per primo il pulsante, conscio di morire pure lui. Mai era stata possibile un’opzione simile nella storia. Un tempo chi dichiarava la guerra (un eroe se vinceva, un criminale se perdeva) aveva la certezza che sarebbero morti nemici e amici, ma non lui. Tutti i grandi condottieri, eroi o criminali, sono morti nel loro letto. Con l’atomica no. Per questo è stata la più grande invenzione politica del XX secolo, una benedizione per i popoli.

Appartengo a una generazione, quella nata negli anni Trenta, che ha vissuto le sconcezze della Seconda Guerra mondiale da ragazzino, ho assistito alle bombe di Hiroshima e di Nagasaki (la “Bomba” fu concepita per distruggere il nazismo in nome di altissimi principi morali, in realtà fu sganciata sul Giappone per ridurre le perdite di soldati americani: questo è bene non dimenticarlo mai). Nei primi anni Cinquanta, da adolescente, avevo la preoccupazione di tutti: una guerra atomica Usa-Urss. Con la crisi di Cuba ci andammo vicini, poi la coda di paglia di John Kennedy e di Nikita Krusciov per fortuna ebbero il sopravvento.
Da allora capii che la “Bomba” era uno strumento di pace. Grazie a “Lei” sono vissuto in pace tutta la vita, governato da élite che fingevano di non capire che il loro potere lo dovevano condividere con altri. Grazie a “Lei” un paese come Israele (con la Svizzera il più liberale del mondo), circondato da stati canaglia, è riuscito a sopravvivere. Grazie a “Lei” Cina e India hanno smesso di combattersi, così come il Pakistan, costruita la “bomba islamica” (con i quattrini dei sauditi), si è salvata dalle grinfie dell’India. Ora tocca al Giappone farla, ne ha diritto, per non dipendere più dagli americani. Equilibrio atomico è la risposta più seria al futuro dell’umanità.

Sulla vicenda Corea del Nord la mia analisi è la solita, applicare le categorie del business e del management alla politica, quindi considerare Kim III un imprenditore-manager di una “Ditta”, creata dal nonno e consolidata dal padre, ora in crisi. Leggo che allo stesso obiettivo sta lavorando il professor David Kang della University of Southern California. Me ne compiaccio.
L’approccio di Kim è esattamente quello, mutatis mutandis, delle felpe californiane con la disruptive innovation. Kim ha messo a punto una vision, l’ha chiamata Byung jin, cioè ha investito sul nucleare e al contempo sull’economia e (udite, udite) sul mercato (sia ufficiale, sia tollerato, quest’ultimo in rapida crescita): ciò gli ha permesso di avere un Pil del 4% e diventare un attore chiave, seppur sgradevole, dello scacchiere mondiale. Con lui la Corea del Nord si è confermato l’unico stato cuscinetto “attivo” fra Cina e Russia da un lato e l’America dall’altro, un ruolo strategico che lui sta cercando di massimizzare.
La sua mission è banale: permettere la sopravvivenza della “Famiglia Kim”, evitare di finire come Gheddafi o Mobuto, difendere l’enorme patrimonio accumulato (sarà nei forzieri della Cina o della Svizzera?). E’ riuscito in un’impresa impossibile in termini di comunicazione: fingendo di essere un idiota pazzo, ha fatto passare nelle Cancellerie e nei popoli il messaggio che lui è disposto a fare la prima mossa.
Meglio che Bill Clinton e Barack Obama tacciano, si fecero sfuggire le due uniche finestre di opportunità temporali per attaccare preventivamente i suoi siti nucleari. Lo fecero per timore di una ritorsione verso Seul? Probabile, ma così si suicidarono. Oggi l’America è una tigre di carta, se ne faccia una ragione. Se si guarda in una prospettiva medio-lunga è probabile che sia Seul che Taipei torneranno alle rispettive madrepatria: la profezia che questo secolo sarà cinese incombe. La globalizzazione sarà il grimaldello, non l’atomica.

Da cittadino del mondo non ho alcun timore dello scoppio di una guerra nucleare, semplicemente perché non avverrà: gli americani le guerre le fanno, di solito, sotto presidenze democratiche. E oggi c’è un repubblicano circondato da militari: la classe meno guerrafondaia che esista. Alla fine Kim il suo obiettivo lo raggiungerà, Xi e Putin avranno il loro stato cuscinetto riconosciuto dalla comunità internazionale. E noi?
Tranquilli, l’Occidente diventerà un follower per colpa del ceo capitalism e delle felpe californiane  non certo per Kim. E’ Silicon Valley il vero stato canaglia da cui guardarsi. Ma noi preferiamo girarci dall’altra parte.

Riccardo Ruggeri

 

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