L’amico banchiere svizzero, i lettori de La Verità hanno cominciato a conoscerlo, mi ha anticipato il contenuto dei capitoli analitici del documento del Fmi (Fondo monetario internazionale) sulle prospettive dell’economia mondiale, “World economic outlook”. Non appartenendo lui, né alla corrente keynesiana, né a quella liberista, ma essendo, come me, un liberale semplice, le sue analisi le sento mie. Entrambi, da anni siamo in attesa che la corrente a noi culturalmente più vicina proceda a una doverosa autocritica, così come sta iniziando a fare il Fmi. Lo fa in modo indiretto, non dice ancora che la politica di destabilizzazione dei mercati del lavoro, e conseguente aumento generalizzato della disoccupazione, diffusione del precariato, pressione al ribasso dei salari, gig economy, siano state mosse suicida. Così si è infatti bloccato l’aspetto socialmente più strategico, l’ascensore sociale. Così come sarebbe ora di riconoscere che “questa” globalizzazione ha quantomeno bisogno di un robusto tagliando. Invece, nulla. Ora però il Fmi invita i Governi a far salire i livelli retributivi dei lavoratori per aumentare i redditi medio-bassi, e anche per stimolare i consumi. Nello sfondo poi c’è il discorso di Theresa May al congresso conservatore di Birmingham, da meditare profondamente, dice l’amico banchiere.Il Fmi invece non commenta certi fenomeni di gigantismo aziendale. Prendiamo le cinque maggiori banche: queste hanno aumentato la loro quota di mercato dal 25% del 2000 al 45% di oggi. Passo dopo passo si stanno creando gruppi concepiti per dominare mercati ove i concorrenti vengono ingoiati con nonchalance, come fossero sardine da squali, costringendo gli altri pesci a inventarsi nuovi nascondigli, persino negli acquari. Esattamente quello che avvenne negli Stati Uniti a cavallo del ‘900, con il primo tentativo di globalizzazione, poi fallito, e successiva Prima guerra mondiale (tout se tient). Per fortuna, i nostri avi, più illuminati di noi, stroncarono brutalmente il giochino con severissime regole antitrust, spaccando questi mostri in più pezzi. E che dire dei cosiddetti “monopoli naturali”, come Google e Facebook, mostri altrettanto orrendi? Infatti i monopoli, disegnati sui tavoli in radica dei board, che altro possono fare se non l’unico mestiere che conoscono: costruire barriere d’ingresso per altri concorrenti, mantenere prezzi alti (rispetto alla qualità), investire meno nella ricerca e più nel lobbying (leggi corruzione), inventarsi complicate architetture fiscali per non pagare le tasse (leggi lobbying), condizionare, dall’alto dei loro profitti e delle loro signorie, il potere politico. Guardiamo quei poveretti del G7, osserviamo come li hanno ridotti, sembrano zombie.
Quelli di noi che più hanno vissuto e che conoscono costoro per averli visti crescere, rammaricandosi di non aver avuto il coraggio di affogarli da piccoli, sanno che la loro prossima mossa sarà di rendere (totalmente) embedded la Magistratura, togliere il diritto di voto (pieno) ai popoli, distribuire un miserabile reddito di cittadinanza agli scarti umani di risulta al modello. Il mio amico banchiere conclude, riferendosi alla sua Svizzera: “continuerò a votare No a tutti i referendum proposti dai partiti dell’Establishment e Si a quelli proposti da Udc e Lega (partiti di centro-destra, detti populisti dai radical chic locali, ndr.). Lo confesso, mi pare di non più riconoscerlo. Che pure in Svizzera le cose si stiano mettendo male? Che pure qua si sia vicini a un redde rationem? D’altra parte, l’ho scritto più volte, un paese liberale, piccolo ma sano, perché di antica origine contadina, come la Svizzera, circondato da paesi grandi e marci, quanto può durare prima di essere infettato? Leggendo questi documenti ho rispolverato una mia locuzione, di cui allora mi vergognai perché troppo enfatica: “il lavoro è la sola moneta del futuro”. Eppure, oggi, si presta, non solo giornalisticamente, a essere declinata in un infinità di aspetti. Mi affretto a metterci il copyright.
Riccardo Ruggeri