SE NON SAPPIAMO NEPPURE PIU’ DISINCHIOSTRARE I GIORNALI, COME POSSIAMO EVITARE DI PERDERE LETTORI?

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Alcuni sabati fa, uno dei tanti quotidiani che compro giornalmente era composto dal giornale vero e proprio (63 pagine), dal suo supplemento ligure (22 pagine), una rivista femminile (178 pagine), una rivista maschile (304 pagine). Per 2 € ho avuto 567 pagine, la metà di Guerra e Pace. All’editore dei 2 € lordi ne sono rimasti 1,40, dopo aver pagato gli aggi al distributore e all’edicolante, le spese per trasporti, ispettori della diffusione, etc. Chissà se esiste un movimento per lo spreco di carta equivalente a quello del cibo globalizzato gettato integro nella spazzatura di cui a un celebre libro del 2009 Waste uncovering the global food scandal dell’ecologista estremo Tristam Stuart.

Cinque o sei anni fa mi capitò un caso simile: le pagine però erano un centinaio (nessuna rivista) e allora il giornale costava 1 €. La considerai una sfida, e lo lessi da capo a fondo: ci misi circa 5 ore. Una follia. Ricordo che ci scrissi un Cameo, lo mandai in anteprima all’editore (ci conosciamo, e stimiamo, dagli anni Settanta), conoscendo numero di giornalisti, produttività, costi delle redazioni, gli chiesi come potesse guadagnare, visto che 1 € era lordo. M assicurò che ci guadagnava, e finì lì. Ora una nuova sfida, e in un sabato e domenica senza calcio, in una dozzina d’ore (sic!) ho letto tutte le 567 pagine, pubblicità compresa. Una follia. Premetto che giornalisticamente è un prodotto impeccabile, molte e variegate le notizie, firme importanti, accettabile l’italiano.

Non ho rifatto la domanda all’amico editore perché nel frattempo ha passato il testimone ai figli (sapendo come ami l’editoria, immagino con dolore, ma c’est la vie), mi resta la domanda: si può guadagnare, dando 567 pagine in cambio di 1,40 €, pur scontando la pubblicità? E poi altre. Perché a fronte di un’offerta così vasta e variegata i lettori calano? Perché avere una connotazione politica così radicale su una platea di lettori-elettori in caduta libera? E con tutti gli altri quotidiani che, curiosamente, pascolano sul suo stesso terreno, senza accorgersi che sta trasformandosi da coltivabile in brughiera? Come ovvio io ragiono in termini di marketing, non certo di ideologie o di valori che ciascun editore e ogni giornalista è libero di praticare come crede. Purché ne siano consci, trovo accettabile decidere di perdere quattrini pur di difendere un’ideologia nella quale si crede, anzi, se così fosse, dico loro: Chapeau!

Ogni due giorni porto tutta questa bella carta di giornali ormai morta nell’apposito cassonetto. Però, sapendo un paio di cose, mi sento frustrato.

1 In Italia non esiste più una cartiera che produca carta per giornali. L’ultima, la Burgo di Mantova con una capacità di 150.000 ton/anno, è stata chiusa nel febbraio scorso con questa impeccabile motivazione: “Insostenibile impatto dei costi energetici in Italia”. Oggi importiamo il 100% della carta per i giornali. Se avessi un’altra età mi dedicherei ad approfondire costi-benefici delle energie rinnovabili e di tutto l’ambaradan lobbistico che ruota intorno a questo business, così moderno e così antico.

2 “In Italia è impossibile riciclare la carta da giornale”. Parola di Antonio Pasquini, patron del gruppo cartario lucchese Lucart (1.400 dipendenti, 450 mln € di fatturato, primo in Europa per le carte monolucide sottili per imballaggi flessibili e tra i primi dieci per carta di uso igienico sanitario). Infatti, la carta dei giornali per essere riciclata deve essere disinchiostrata, processo che produce fanghi, questi devono essere smaltiti in appositi inceneritori, ma essi vengono avversati da tutti i comuni italiani. Allora che ha fatto, disperato, il povero Pasquini? Se ne è andato in Francia, ha spostato là tutta la sua carta da macero, là ha investito. Incapacità di decisione politica e vincoli territoriali affossano ogni giorno che passa il made in Italy, di cui però tutti ci riempiamo la bocca.

Io un’idea ce l’ho, perché ormai culturalmente, visto che i nodi, uno a uno vengono al pettine, riconduco tutto al modello dell’osceno Ceo capitalism: qua tutte le domande imbarazzanti trovano una risposta. Disinchiostriamo il Ceo capitalism, inceneriamo i suoi fanghi, dopo aver preso atto che ha rubato il futuro ai nostri giovani. E ripartiamo, come facemmo nel 1948.

www.riccardoruggeri.eu

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