Il dibattito fra Roberto Giachetti e Massimo D’Alema, dal punto di vista umano, l’ho molto apprezzato. I due sono stati loro stessi, due rispettabili profili umani, espressioni di un’epoca ormai consegnata alla storia dalla Grande Crisi del 2008. L’uno, un ex radicale in purezza (uno dei pochi giovani, sopravvissuti alla furia distruttiva del Pannella antropofago), l’altro, lultimo vero professionista della politica di sinistra, un’icona appena impolverata. Li ho apprezzati perché era tecnicamente impossibile fare un dibattito sui contenuti del referendum renziano, mancando il presupposto minimo: la lingua italiana. Larticolo 70 l’ho letto più volte, non ci ho capito nulla, eppure pare essere quello chiave. Giachetti e D’Alema l’hanno fatto, dignitosamente. In termini giornalistici, l’unica notizia nuova e incredibile l’ha data D’Alema: la crostata della signora Letta non è mai esistita, quindi il Patto della crostata è un falso storico. Mi chiedo perché la Treccani lo riporti, dandogli una dignità che non merita. Temo che Matteo Renzi non riesca più a cambiare la modalità del voto popolare, focalizzandolo sul merito del referendum. Forse poteva pure fare a meno dell’autocritica, oltretutto non gli è riuscita neppure bene. Non essendo comprensibili i contenuti, difficile la lettura, scadente la lingua, che piaccia o meno, sarà un referendum sulla sua leadership. Il risultato si deciderà nel tratto di strada fra la casa dei singoli elettori e la cabina, per cui i sondaggi sono quattrini buttati. Impossibile fare previsioni. Aspettiamo sereni, in democrazia il popolo ha sempre ragione. Le chiacchiere delle élite sul referendum? Solo noia.
Cameo
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