NATALE DI POVERTÀ NELLA SVIZZERA ITALIANA
Sono felice che il Corriere del Ticino abbia dedicato le prime pagine della sua edizione della vigilia di Natale alla povertà, inquadrandola fra gli eccessi consumistici delle luminarie e le doverose riflessioni che ne derivano.
Una frase per tutte “È difficile che nella Svizzera italiana qualcuno muoia di fame, ma è molto più facile che muoia di solitudine, di marginalità”.
Sembra una frase dalle venature markettare, in realtà è lo specchio di un mondo che anche nell’opulenta Svizzera è presente molto più di quanto noi si possa immaginare.
C’è la povertà dell’indigenza cronica, ma pure quella di chi vive in uno stato di perenne tensione, che sfocia nella altrettanto perenne incertezza di non arrivare (banalmente) alla fine del mese.
Ormai noi colti non siamo più capaci di pronunciare la parola “povertà”, perché non siamo più culturalmente attrezzati a guardare in faccia il dolore, a percepire negli altri la fatica del vivere.
Gli Zoo del privilegio che ci siamo costruiti, e in cui viviamo, esaltano l’immortale frase del 1917 di Franz Kafka, che ben fotografò le nostre vite: “È un malinteso, ed è quello che ci manda in rovina”.
Tutto di noi e del nostro mondo di oggi è un malinteso!
Il termine sociologico “povertà reddituale” rifiutiamo di tradurlo nel suo significato vero: “Non farcela a tirare avanti con il poco che si guadagna”. E sono il 7-8% della popolazione (sic!), oltretutto costoro se non ricevessero aiuti dallo Stato salirebbero al 15% (sic!).
Per questi penultimi (gli ultimi restano gli immigrati, in primis i profughi provenienti dalla guerra ucraina) che sono o vecchi, o adulti soli con prole (pomposamente dette famiglie monoparentali) o persone che perdono il lavoro e non lo trovano più, o che vivono in abitazioni inadeguate perché impossibilitate a pagare affitti di mercato, o addirittura che non sono più in grado di pagare le imposte o la cassa malati. E siamo in Svizzera)! Buon Natale!