Carissimi, so che state bene perché ci siamo sentiti al telefono. E’ il quinto giorno di ritiro forzato in casa per il Virus Cinese. Lo chiamo con il suo nome perché, con la disinformazione in essere, presto tenteranno di definirlo germanico o padano.
Ho letto da qualche parte “Siamo come ciechi in una stanza che ha cambiato dimensioni e arredo”. Potrebbe essere. Dice un detto lombardo che l’abitudine è una seconda casa. Ci sembra che ciò che prima ci dava sicurezza ci appaia oggi come una trappola. Se riflettiamo, sappiamo che tutte queste affermazioni sono eccessive, ma la percezione è questa. Liberiamoci di queste fisime. Rimaniamo in casa. Bisogna farlo, è giusto farlo, e lo facciamo. Però, guai se perdiamo la nostra libertà di pensiero, il bene più prezioso che padri e nonni ci hanno donato. Di più, lo vogliamo fare senza perdere il sorriso, perché la nostra è una famiglia che sorride.
La nonna ed io ci riguardiamo molto, ci sforziamo di non ammalarci, alla nostra età non possiamo permettercelo. La nonna ha scelto addirittura di non uscire, si dedica ai lavori di casa, la vedo serena. Io faccio l’esploratore per un quarto d’ora al giorno, racconto alla nonna cosa ho visto fuori, in realtà nulla. All’ora in cui esco vedo solo gli addetti al ritiro della spazzatura, mi tranquillizzano: significa che la vita prosegue. Esco solo per comprare i giornali, due fette di torta di verdura e ritiro la cassetta con le verdure della mia amica contadina. Poi subito a casa, doppio lavaggio delle mani. La ricciola è in freezer in bi porzioni, presto F. mi porterà altro pescato. Si vede che c’è un passaggio di ricciole, io comunque del crudo di ricciola non mi stuferò mai. Speriamo che i pescatori vadano in mare e riescano a vendere il loro pesce. Nella nostra follia tecnologico-comunicazionale abbiamo fatto credere ai giovani che il pesce nasca stampato-surgelato in 3 D. A proposito di pesci, un’idea del nonno.
Un libro per Virginia e per Carla Maria. E’ appena uscito in francese, so che padroneggiate la lingua, quindi non avrete nessun problema. Dovrebbero leggerlo tutti quelli della vostra età. Si intitola La civiltà del pesce rosso (Grasset) di Bruno Patino, direttore della Scuola di giornalismo a Sciences Po di Parigi. Come sottotitolo fa “Piccolo trattato sul mercato dell’attenzione”.
L’autore dirige anche il canale francese ARTE ed è stato uno dei primi a credere al sogno di un’umanità migliore grazie all’evoluzione digitale. Ora ha scoperto che siamo diventati schiavi del “dio connessione” e che la nostra “attenzione” produce sì ricchezza, ma solo per Google. A noi umani riserva solo patologie più o meno gravi, al punto che i Millennial, la generazione prima della vostra (voi siete tutti Gen. Z, perché nati dopo il 2000), ha un “tempo di attenzione-concentrazione” di 9 (nove) secondi. Un secondo in più dei pesci rossi (sic!). Così abbiamo permesso che Silicon Valley riducesse i nostri giovani.
Il giorno delle lauree (2005) al Kenyon College lo scrittore David F. Wallace raccontò questa storiella. “Due giovani pesciolini incrociano un pesce più grande che va in direzione opposta, questi, distrattamente dice loro “Salve ragazzi, com’è l’acqua?”. I due non capiscono, e proseguono. A un certo punto uno dei due dice all’altro “Ma che cavolo è l’acqua?”
Con questa storiella il grande scrittore coglie un aspetto: le realtà più ovvie non le sappiamo più né vedere, né sentire. Continuando ad abbassare il livello di attenzione-concentrazione si rischia di tornare analfabeti, seppur sempre connessi, arricchendo fantozzianamente Google ma trasformando noi in pesci rossi (manca solo un secondo!)