Il grande gioco dell’editoria post 4 marzo

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Il Financial Times ha pubblicato “Media moralist rails against Five Star-League deal for Italy” dando voce al direttore del Fatto, Marco Travaglio. James Politi per definire il nuovo posizionamento politico di Travaglio usa il termine “surrogate” , lo traduco come qualcosa più di un intellettuale-simpatizzante e qualcosa meno di un ideologo-suggeritore. La posizione di Travaglio è senza sfumature, ed è nota fin dal 5 marzo. Assunto come male assoluto il Partito della Nazione (Matteo Renzi e Silvio Berlusconi), molti erano convinti che Travaglio continuasse a sostenere i pentastellati e la loro alleanza (tattica) con Matteo Salvini, giudicandolo un male minore. Invece, anche al FT conferma la posizione più volte ribadita a La7: sono un giornalista, sono di sinistra, vedo più coerenza in un’alleanza fra il M5S e il Pd derenzizzato.

In realtà, la scelta di Travaglio e del Fatto hanno una componente di strategia editoriale non banale, la stessa dei Big Five del giornalismo nostrano. Immaginiamo per un momento che prevalga in Di Maio e in Salvini una strategia di alleanza di lungo periodo, che l’establishment considera una vera e propria minaccia. Entrambi non temono certo le elezioni, ma non hanno nessun interesse a sfruculiare a breve i rispettivi elettorati, quando basta loro attendere le elezioni europee del 2019 per capirne gli umori. L’elettorato grillino è più fragile, mentre per la Lega è meglio lasciar maturare l’elettorato forzista per la loro progressiva cooptazione che non rompere subito con Berlusconi. Ma, ripeto, loro due possono andare a nuove elezioni, Pd e Fi no.

Il problema degli editori è il “Che fare?” di leninista memoria. Inopinatamente, alle elezioni hanno perso proprio i loro lettori, quasi tutti schierati con gli sconfitti Pd e Fi. Cosa devono fare la Famiglia De Benedetti (Repubblica e Stampa), Urbano Cairo (Corriere), Francesco Gaetano Caltagirone (Messaggero), Confindustria (Sole)? Per Foglio e Fatto la scelta c’è stata, curiosamente si trovano vicini, pur rappresentando aree di riferimento diverse. Il Foglio punta ancora al Partito della Nazione, scommettendo sulla capacità attrattiva di Renzi, sull’automatica uscita delle minoranze del Pd, e sogna l’abbraccio con i berluscones duri e puri in libera uscita, mentre il Fatto scommette sulla “derenzizzazione” del Pd e il rientro all’ovile, sia delle Sinistre, sia di sfridi duri e puri del M5S. La scelta del Giornale è obbligata, gli altri quotidiani minori da questo caos editoriale possono solo averne benefici. Con un governo M5S-Centrodesta di legislatura per i Big Five invece il problema si complicherebbe, e molto. Devono evitarlo, costi quel che costi. L’opzione su cui puntare è obbligata: Pd e LeU si suicidino a favore del M5S, come implicitamente sostiene Travaglio, ed ecco il nuovo centrosinistra digitale.

Un segnale debole l’ho colto come studioso del Ceo capitalism. Ormai il giochino “destra vs sinistra” ha perso significato, sostituito da “basso vs alto”. Ciò sta alterando in profondità le logiche di identità e di appartenenza nelle quali tutti ci eravamo accucciati. Da tempo scrivo che nelle fasce basse della popolazione destra e sinistra si stanno avvicinando a grandi passi, in molte periferie sono ormai indistinguibili. Che oltre la metà degli italiani e degli europei in genere sia filo Russia non è più un segnale debole ma una tendenza. I risultati elettorali del 4 marzo fanno dell’Italia un laboratorio avanzato: due partiti popolari (il populismo in politica non esiste, è una categoria dello spirito) hanno la maggioranza assoluta dei voti e dei seggi e sono dominanti pure in termini geografici. Prendiamo un esempio all’apparenza marginale. Aldo Grasso, principe della comunicazione politicamente corretta, si è addentrato in un territorio che credeva di casa, ancora diviso fra destra e sinistra. Ha fatto una battuta che prima del 4 marzo sarebbe stata perfetta e non avrebbe avuto risposta (Claudio Amendola avrebbe preso e portato a casa, in silenzio). Questa volta Amendola ha risposto in modo altrettanto colto ma feroce. Si è rivoltato! Che le élite si stiano (finalmente) spaccando anche loro? Vedremo.

A me della mitica stanza non interessano i “bottoni”, ma coloro che li premono. Questo immagino volesse dire Claudio Amendola. E la regola meritocratica che abbiamo tanto esaltata (per gli altri) ora vale anche per noi: chi sbaglia o chi perde, esce dalla giostra. Punto.

www.riccardoruggeri.eu

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