Negli anni Settanta per tre anni fui direttore dell’organizzazione e del personale di una grande sub-holding (una ventina di aziende con oltre 40.000 dipendenti), per me accademia e master di vita. Il “banchetto” della sociologia allora era ricco di merci culturalmente variegate e pregiate. Mi appuntai tanti concetti e frasi, ancora oggi quando sono in difficoltà nell’interpretare certi fenomeni me le vado a leggere, cerco di adattarle al contesto attuale o a quello prossimo venturo. Allora scoprii tanti autori di libri straordinari, li segui nella loro evoluzione culturale e umana, continuando ad archiviare concetti e locuzioni che li connotavano, per collegarle, un giorno, a fatti della vita vera. Capii che non ero uomo di dottrina ma di execution, sapevo fare collegamenti, cogliere segnali deboli, era lo status di apòta che Dio mi aveva assegnato. Dieci anni fa individuai i miei “nemici”: le felpe californiane, i figli dei figli dei fiori diventati figli di puttana. Ora se ne è accorto pure il mitico Francis Fukuyama che scrive: “…hanno molto potere economico e di convinzione, hanno creato monopoli giganteschi che condizionano tutti noi. Interveniamo finché siamo in tempo …”
L’uscita del mio libro “America. Un romanzo gotico” mi ha portato molti stimoli (il sale della vita), e una convinzione: il politicamente corretto ha ormai permeato così in profondità le nostre élite che esse percepiscono persino in un mite come me un rivoluzionario in erba.
Prendo una locuzione di Ivan Illich quando, negli anni ‘70 analizzava il sistema educativo americano riferito ai bambini neri degli slum. Illich sentenzia: “Questo modello insegna loro a pensare da ricchi e a vivere da poveri”. Esattamente il mix micidiale di oggi: “ceo capitalism-cittadino consumatore-felpe californiane monopoliste, uberizzazione del lavoro” non è altro che la declinazione dell’analisi di Illich. I nostri comportamenti organizzativi si sono fatti disforici, nell’accezione psichiatrica di alterazione dell’umore in senso depressivo, unito a irritabilità e a nervosismo (i talk show, la rete). Siamo o euforici (vittoria di Macron) o disforici (Brexit), i termini specularmente si invertono per quelli detti spregiativamente populisti.
Analizzo i personaggi del mio libro secondo le categorie culturali di Illich: le generazioni baby boomer e X , hanno fallito, i Millennials, hanno continuato a investire su un loro inserimento professionale, puntando su uno “sviluppo” che non ci sarà.
Alla caduta del muro esistevano ancora le tre classi sociali tradizionali: “ricchi” (10%), “medi” (30%), “popolari” (60%) con mutamenti dettati dall’efficienza dell’ascensore. Ora, i “ricchi” si sono spaccati in “ricchissimi” (1%, con un 9% di benestanti-kapò al loro servizio), mentre “medi” e “popolari” si stanno riposizionando verso il basso. Vediamo com’è il nuovo palcoscenico.
I “ricchissimi”, stante l’implacabilità del modello diventano, loro malgrado, sempre più ricchi e non hanno trovato altro modo di liberarsi di parte del patrimonio che si ritrovano, se non via beneficenza. I “poveri” Warren Buffet e Bill Gates non sanno più cosa donare, dopo aver inondato di condom l’Africa e di galline ovaiole il Sud America.
I “medi” non riescono a uscire dalla sindrome di Illich: hanno studiato, investito, sperato, allevati a pensare e comportarsi da ricchi si ritrovano con un reddito miserabile. Che fanno ? Scelgono di tener fermo il tenore di vita saccheggiando il patrimonio lasciato loro dai genitori e dai nonni. Fra pochi anni, finiti i quattrini, precipiteranno nella povertà, senza essere attrezzati alla bisogna.
I “popolari” persa la speranza dell’ascensore sociale, degradato il lavoro, unico aspetto vitale che dava loro dignità umana e prospettive di vivere civile, in tanti lavoretti precari (gig economy), schiavi dell’uberizzazione dello stile di vita, anelano al reddito di cittadinanza, l’unico introito che può ormai collocarli un gradino sopra gli animali da cortile o da salotto.
Chapeau a Ivan Illich!