Cosa resta delle infinite analisi che i giornali euro americani hanno fatto su Donald Trump? Un‘ubriacatura di titoli banali, di concetti ripetitivi, di parole vuote. La realtà è che siamo stati tutti spiazzati. Ho raccolto alcune chicche, che meglio di altre raccontano lo schiaffo terribile assestato dalla maggioranza silenziosa alle sue élite politiche, manageriali, intellettuali, e, attraverso queste, a quelle europee (solo il sobrio Juncker se ne era accorto, reagendo come ha fatto). La sintesi migliore? Di Marcello Foa (Corriere del Ticino): “La vittoria di Trump non è sorprendente”. E’ così. Un’ovvietà per chi aveva capito che questo modello politico-economico era fallimentare, stante l’eccesso di ricchezza destinato a pochissimi, (costringendoli, per la vergogna, a dare in beneficenza parte dei loro mostruosi bonus e patrimoni), impoverendo tutti gli altri. Le élite di area socialista e progressista non riconoscono la vittoria di Trump (i loro figli spaccano vetrine, trasformandosi di colpo da fighetti in naziskin), in Europa non si capacitano perché i loro elettori storici li votino sempre meno. Come ovvio, fanno finta di non capire che il giudizio della loro base è chiaro: siete autoreferenziali, vi siete imborghesiti, i voti ormai li prendete solo nei salotti, siete out. Il colpo definitivo alle élite, in questo caso, lo hanno dato gli attori di Hollywood (vedovi inconsolabili dell’attore mancato Barack Obama), il peggio che produce la cultura di sinistra. Se escludiamo l’immenso Clint Eastwood, e in attesa che si esprima il liberal George Clooney, entrato in una drammatica depressione che lo ha ibernato, costoro hanno dato fondo alle loro volgarità. Dal compenso in natura di Madonna (lo speranzoso che si è presentato sotto casa per incassare il promesso omaggio hot è stato fermato dalla polizia), a Samuel Lee Jackson che piuttosto di vivere in un paese governato da The Trump dice che porterà il suo “culo nero” in Sud Africa. Per non parlare di Robert De Niro in viaggio per la Basilicata senza passare dall’hotspot di Lampedusa, mamma Mia Farrow si avvierà verso la gelida Cork, in Irlanda (ha doppio passaporto), mentre Stephen King si limiterà a passare il confine con il Canada. Buffonate di buffoni.
Alle votazioni presidenziali ho fatto un grave errore, non aver capito che forse si era alla fine di un ciclo. Eppure miei segnali deboli lo indicavano da anni, il modello di difesa messo a punto da costoro (la mossa di assemblare destra e sinistra in un Partito della Nazione) creano, in automatico, una maggioranza ferocemente contraria di cittadini comuni. Eppure, li studio da anni, anche perché quello è il mio mondo (prendiamo il mio caso: secondo il ragionamento delle élite fino a 40 anni sono stato un povero ignorantone, per i successivi 40 un colto elitario, che buffonata).
Da cosa deriva questa mia certezza? Il modello politicamente corretto impostoci dalla élite, almeno in me, crea ansia, questa produce solitudine sociale, mi immerge in una finta (le carte sono truccate, e io lo so) competizione meritocratica, che mina la mia autostima. Capisco quelli che si difendono, ritornando a chiudersi nelle rispettive tribù (i bianchi, i poveri, i cattolici, gli ex classe media, etc.). Eravamo terrorizzati dai “Big data”, la nomina di Trump, almeno di questo dobbiamo essergli grato, ci ha convinto che hanno piedi d’argilla, ci ha ridato autostima, abbiamo capito che possiamo batterli. Come? Secondo me con gli “Small data”. Questi, a differenza dei “Big data”, dai quali derivano come sintesi, se vengono arricchiti con componenti umane si pongono come sensori superiori a qualsiasi algoritmo, che mai potrà cogliere i sentimenti profondi dell’uomo, figuriamoci con le emozioni.
Cosa ci ha insegnato il caso Clinton-Trump? Che nei momenti di crisi drammatiche, dobbiamo votare chiudendoci in noi stessi, riflettendo fuori dagli schemi, privilegiare la contro intuizione, dare sfogo alle nostre emozioni più profonde, alle nostre umane amicizie e inimicizie, simpatie e antipatie. In una parola, dobbiamo essere politicamente scorretti, sempre e comunque.
Riccardo Ruggeri