Se Donald vuol durare come presidente deve riportare negli Usa il lavoro rubato

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Che Presidente sarà Donald Trump? Nessuno lo sa. Di certo, in prima battuta cercherà di favorire le classi sociali che l’hanno eletto, uniti nello slogan: “basta, via le élite!” Queste avevano capito come il “combinato disposto globalizzazione-tecnologia-guerre” sarebbe stato mortale per loro, stavano perdendo l’ascensore sociale, la gig economy li avrebbe ridotti a servi, e poi a zombie. Persino i “numeri” lo evidenziavano: dopo 16 anni, si ritrovavano con un “reddito mediano” (mediano, non medio) inferiore a quello del 2000 (cfr. Martin Wolf, Financial Times, 9 novembre 2016), con progressiva stratificazione delle diseguaglianze. Infatti, la parte del reddito che va ai lavoratori è sceso dal 64,6% del 2001 al 60,4% del 2014. Ed è pure diminuito il tasso di partecipazione al mercato del lavoro, oggi il 12% degli americani, fra i 25 e i 54 anni, non lo cerca neppure più, perché è scoraggiato. Ciò altera tutti i dati, che appaiono per quel che sono: trionfalmente falsi. Secondo un (anzi, il) mio amico banchiere svizzero, il combinato disposto “riduzione delle tasse-investimenti pubblici” nelle infrastrutture, spingerà verso l’alto l’inflazione, la Federal Reserve aumenterà i tassi, tornando a una politica monetaria neutrale. Certo, funzionerà per un paio d’anni, ma non risolverà il problema delle diseguaglianze sociali. Suggerirei a M5s, Lega, destra, sinistra, di attendere prima di esultare, una élite oscena come quella dei Clinton-Obama è scomparsa in una nuvola di zolfo, e ciò è cosa buona e giusta. Ma come sarà la nuova élite che la sostituirà?
Una cosa è sicura: Trump deve riportare in America il “lavoro rubato” (è l’oro dell’attuale società 2.0), lo farà, se necessario, con i dazi e con l’abbandono dei trattati commerciali transoceanici. Quindi, investirà nella difesa in termini di armamenti, ma appaltando parte della gestione (Medio Oriente e lotta al terrorismo islamico) a Vladimir Putin. All’Europa non resterà che investire punti di Pil nella “sua” difesa o scomparire dallo scenario militare. Il tempo delle cuscute è finito.

Tutto si giocherà nei primi 100 giorni, comunque Trump resterà l’impresario-comunicatore, con un unico obiettivo: far sì che il suo brand resti alla Casa Bianca per due mandati. In corso d’opera, capirà il motivo vero che l’ha portato alla Casa Bianca, con il voto dei bianchi intellettualmente straccioni (copyright establishment dem), grazie alla strategia della disintermediazione. Le élite dem l’avevano applicata all’economia, dando origine a strappi nel tessuto sociale, della cui gravità non si sono neppure resi conto, Trump l’ha applicata alla politica, disintermediando il partito repubblicano. Nel frattempo, Bernie Sanders faceva altrettanto con quello democratico. Nominando il nono giudice della Corte Suprema, un Anthony Scalia, giovane e sano (il mandato è a vita!), Trump si coprirà sul lato dei diritti civili, delegando ai giudici supremi tutti i problemi che le élite radicali gli potrebbero creare. Vadano a sfilare davanti alla Corte Suprema e non alla Casa Bianca. Non escludo che poi sarà disintermediato pure lui.

Se l’analisi fosse corretta, se cioè la sua “strategia personale” coincidesse con quella dei suoi elettori (fallite le promesse obamiane sul futuro, vince la voglia di passato), non gli resta (e dici poco!) che unificare culturalmente gli Stati agricoli del Midwest, quelli culturalmente industriali della Rust Belt (cintura della ruggine), quelli culturalmente di confine (i più feroci anti immigrati ispanici sono gli immigrati ispanici ivi residenti), quelli culturalmente in quiescenza, come la Florida. Trump potrebbe così tentare di riconfigurare una nuova leadership culturale del Paese, devota alla Costituzione del 1789. Anche una politica militare non interventista, che coniugasse il rifiuto di mandare i giovani americani a combattere e a morire fuori dai confini, con al contempo forti investimenti negli armamenti (vecchio modello svizzero, in pace con tutti, ma armati fino ai denti) giocherebbe a suo favore.

Sto finendo di scrivere, per Marsilio, un libro sulle mie tre Americhe, da vent’anni in guerra fra di loro (queste elezioni lo hanno certificato), con tre capitali: Wichita, New York, San Francisco. Questo round l’ha vinto Wichita, Kansas. Il prossimo vedremo.

Riccardo Ruggeri

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