Ho riflettuto a lungo se recensire il libro “Avanti” di Matteo Renzi. Mi è parso più logico pormi prima una domanda: Perché l’ha scritto? Per rientrare in gioco? Per cercare di bloccare questo flusso di odio, politico o extra-politico non so, che gli sta devastando l’immagine? Se così fosse avrebbe sbagliato, perché il libro come minimo lo sta accentuando. Due sole le recensioni puntuali, le altre più che recensioni o sono prese in giro o feroci attacchi (tipo intervista al Corriere della Sera di Mario Monti).
Mario Sechi lo considera (e io mi associo) un non libro, infatti chiosa “Presiede lo spazio della comunicazione, non dice quasi nulla, ma occupa benissimo il campo da gioco dei media”. Massimo Micucci lo considera invece un libro coraggioso (se nel senso di metterci la faccia, mi associo) ma più del libro parla degli ex amici di Renzi, stigmatizzando il loro comportamento (ha ragione, la guardia imperiale è sempre peggio del tiranno). Feroce, al limite della sgradevolezza, la critica di Mario Monti alla parte del libro ove parla di lui. Purtroppo la permanenza, seppur breve, a Palazzo Chigi ha reso fastidiosa la sua algida superiorità intellettuale, comunque se vuole evitare anche lui di apparire un disco rotto meglio evitare di ripetere la fola del “Ho accettato di governare in un momento in cui nessuno voleva prendersi quel rischio …”. Imbarazzante. In base alle informazioni disponibili, a nessuno Giorgio Napolitano ha offerto uno scranno da senatore a vita, propedeutico alla premiership, perché chiunque l’avrebbe accettato subito, come in realtà lui ha fatto.
L’amico Massimo Recalcati (Repubblica: “L’odio per Renzi e il lutto della sinistra”), con la sua nota lucidità scientifica, elenca e analizza alcune ipotesi del perché. Dal mio punto di vista le escludo tutte, salvo una: l’odio verso Renzi nasce nel suo campo, per aver “aver messo la sinistra di fronte al suo cadavere”. Innescato il processo, tutto il resto della politica politicante, e dei media a questa devoti, si sono scatenati per trasformare lui, Renzi, in un cadavere. Ci stanno riuscendo.
Confesso che questo mondo lo racconto ma non è il mio, così dopo aver letto il libro, mi sono rifugiato nel mio grande amore, Jorge Luis Borges e il mitico Funes el memorioso (nella traduzione di Franco Lucentini, 2012). Ireneo Funes è la perfetta metafora di Matteo Renzi. La storia è banale, Funes cade da cavallo, resta paralizzato in modo irreversibile e passerà la vita sulla sedia a rotelle, accumulando una riserva di memoria al di fuori di ogni portata umana. Quando muore ha solo ventuno anni, ma il suo ricordo rivive nel narratore che di quella vita circoscritta diventa il geloso contabile. Borges si muove da maestro nei labirinti della memoria, una memoria perversa, malvagia, nevrotica. Curiosamente Funes ricorda particolari infinitesimali, spesso senza significato alcuno, perché privi di simbologie. Sono minuzie sconnesse, minutaglie della mente che si raggruppano per categorie creando un ordine effimero, componendosi e ricomponendosi sotto il governo dell’incoerenza. E’ una memoria inutilizzabile perché inadatta al pensiero (il lettore scopre che Funes è incapace di pensiero). Secondo il narratore (le parole che ho usato sono le sue) non c’è posto né per il pensiero, né per le emozioni, né per i sentimenti, quindi neppure per la metafora, e conclude “ciò sarebbe avvenuto anche se Funes fosse vissuto mille anni”.
Siamo in presenza di un non libro, racconta fatti effimeri, soffermandosi a volte persino su atteggiamenti politici gozzaniani, come il broncio, il cipiglio, il muso lungo. Scrivere questo libro è stato un errore. A quarant’anni lo puoi fare solo se possiedi un’ironia infinita, se sei un fuoriclasse, se una voce fuori campo dice di te: “Game, set, match Federer”. Se no, meglio tenersi stretto lo splendido pamphlet di Giuliano Ferrara Royal Baby al quale l’autore di Avanti dopo appena tre anni non rassomiglia più, neppure lontanamente. Brutte bestie i palazzi romani del potere: Palazzo Chigi, Quirinale, Vaticano. A tua insaputa, ti logorano, ti cambiano, in peggio, e per sempre.
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