Macron getta la maschera: è un sovranista che sogna l’antica grandeur in stile Re Sole

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Quando Emmanuel Macron fu trionfalmente eletto mi comportai come faccio di solito alla comparsa sulla scena di un nuovo attore politico: scrivo qualche Cameo di costume (sono delle amuse buche per tastarne la consistenza), analizzo, infine raccolgo segnali deboli. Su di lui ne scrissi un paio, centrati sul bel rapporto con la moglie Brigitte, usando un linguaggio ironico, però da oratorio salesiano. Mi aveva colpito questa, all’apparenza ostentata, ricerca reciproca di intrecciare le dita in ogni momento pubblico. Il giochino mi pareva stucchevole, poi cessò quando, all’uscita del seggio elettorale, l’aggancio fallì, causa un movimento goffo mano-matita-scheda. Da allora non sono più interessato a seguire le gesta delle loro dita, sono tornato a occuparmi della sana volgarità della politica. E più lo osservo più lo trovo interessante.

 

Come faccio di solito ho provato a trovare somiglianze con leader che erano andati al potere, come lui bruciando le tappe, ovvio trovai Barack Obama e Matteo Renzi. Li esclusi entrambi, il primo perché il popolo dem dovendo scegliere fra un nero (uomo, politicamente onesto) e una bianca (donna, politicamente crooked), scelse l’uomo, il secondo perché avevo avuto occasione di vederlo all’opera: anche lui lo giudicai solo un tattico. Di Macron mi colpì il suo primo atto, immaginai a lungo studiato e simulato: la sua solitaria passeggiata notturna sulla Esplanade del Louvre (né la Bastiglia dei socialisti, né la Concorde dei repubblicani), con l’Inno alla Gioia prima della Marsigliese e la frase “Oggi l’Europa e il mondo guardano alla Francia”. Mi dissi, intelligente il ragazzo: puntare alla politica estera significa minimizzare i rischi sui primi cento giorni.

 

Da allora mi concentrai solo su questo versante. Apprezzai l’incontro con Vladimir Putin nello sfarzo di Versailles, con regia alla Luchino Visconti: mancavano sono parrucche e boccoli, per far passare il messaggio del Re Sole che incontra lo Zar di tutte le Russie. Per ripetere quel 1717 dovette allungare il brodo della storia (era Luigi XV di appena sette anni, non Luigi XIV) ma il minuetto, con uso del clavicembalo, ebbe successo. Lo stesso avvenne nell’incontro con Donald Trump nel momento di maggior debolezza di quest’ultimo. Sugli Champs Elyseés, nella sfilata del 14 luglio la banda militare suona i Daft Punk, spiazzando Trump. Infine, nel momento di massima tensione sull’immigrazione ripete, con una durezza stile Marine Le Pen, o meglio Viktor Orbàn, che la Francia non prenderà nessun migrante commerciale, mai. Quando poi rimette in discussione l’accordo Fincantieri-Stx France decido di chiudere la mia analisi preliminare ed esprimere un giudizio su Macron sulla base dei suoi primi cento giorni. Scrivo un tweet: “Macron ci ha fottuto tutti: era un sovranista mascherato da globalista”. Poi un altro “I nostri intellò in ferie sapranno che su Macron dovranno riposizionarsi?”

 

Il ragazzo ha capito come si deve governare nel losco mondo del ceo capitalism. Devi: a) Mettere al centro di tutto gli interessi del tuo Paese, come hanno sempre fatto Angela Merkel e i presidenti americani; b) Essere ferocemente sovranista a livello nazionale; c) Pretendere che gli altri paesi accettino forme estreme di liberismo a casa loro per gabbarli meglio (vedi Italia); d) Essere globalista q.b. (quanto basta), purché sia utile al tuo paese; e) Per chiudere il cerchio disinteressarsi del gracchiare degli intellò, tanto poi si allineano.

Per ora, e per quel che vale (nulla), caro Macron lei fa gli interessi della Francia, sa muoversi, soprattutto rifiuta le seghe mentali degli intellò. Chapeau!

www.riccardoruggeri.eu

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