Chi legge i miei Camei sa che soffro di una forma terminale di idiosincrasia verso i leader del G7, ai quali imputo il disastro al quale stanno conducendo una delle più belle scommesse umane. L’Occidente liberale del secondo Novecento avrebbe potuto essere Atene, un luogo immaginario dove avremmo vissuto bene e in amicizia, o ci avremmo tentato. Invece, abbiamo voluto troppo, ci siamo fatti violentare da politici piccoli piccoli, da intellettuali colti colti, entrambi incapaci di capire che il successo di un’idea si realizza sempre e solo nell’execution. E adesso, sessant’anni dopo, ci troviamo con il giochino a pezzi, succubi di un miserabile ricatto tedesco. Che fare? Come diceva Tex Willer: “… inutile piangere sul latte versato, bisogna spegnere il fuoco e ripartire verso Ovest.”Comunque il 2016 è stato un buon anno, ci siamo liberati di tre di costoro, il peggiore se ne è andato per fine turno, gli altri due hanno voluto sfidare i loro popoli e sono stati trombati. Nel 2017 ci liberemo del francese: come innamorato di una certa idea della Francia pensare che uno così fosse il padrone di casa di un palazzo come Versailles mi deprimeva. Il sogno sarebbe stato fare l’en plein, liberarsi anche della signora tedesca, ma sarà molto difficile, (il successore sarebbe peggio?).
L’incontro a Versailles dei quattro big europei mi ha dato due soddisfazioni. La prima, un premier, finalmente degno del luogo, non per nulla ha sangue blu nelle vene, è felpato, un Richelieu in sedicesimo. La seconda è la frase con la quale Angela Merkel ha preso atto del fallimento dell’Europa, così com’è venuta a configurarsi: “O un’Europa ad assetti variabili o crolla tutto”. Mi chiedo: vorrà dire “buona la seconda? Fingiamo che non sia così e tiremm innanz!
La frase di Versailles è stata, da un lato tanto attesa come momento di sincerità verso i popoli europei, dall’altro prende atto del fallimento di un sogno, di un disegno, di leadership singole e collettive. Come hanno deciso di comunicarlo? In un modo miserabile, attutendo, minimizzando, come fosse morto il bisnonno ultracentenario spirato sereno nel suo letto. Era anni che ai migliori di noi era diventato insopportabile ascoltare frasi come “Ci vuole più Europa”, “L’Europa è la nostra casa” e al contempo assistere a un osceno egoismo istituzionale dei leader europei. La chiusura del corridoio balcanico, nell’esclusivo interesse dei tedeschi, con modalità che nulla hanno a che fare con la democrazia e il contemporaneo mantenimento del corridoio marino che ha messo definitivamente in ginocchio Grecia e Italia, è stato il momento più alto del cinismo criminale di queste leadership nord europee a matrice germanica.
Merkel si è limitata a sparare tale frase, dal chiaro messaggio ricattatorio (aut, aut), senza neppure avere il buon gusto di uno straccio di analisi, men che meno un’autocritica feroce delle leadership, la presentazione di dimissioni collettive, rimettendo i mandati nelle mani dei rispettivi popoli, finalmente liberi di creare assemblee costituenti per trovare nuove soluzioni comunitarie e referendum (ripeto, referendum) senza quorum.
Mi permetto una digressione nel mondo che conosco, quello del business. Quando non si riesce a far funzionare un’alleanza multipolare di più aziende, che facciamo noi manager? Ci si mette intorno a un tavolo e il leader dell’azienda più potente presenta una proposta, dove lui prende tutto e gli altri o assumono un ruolo ancillare o vengono liquidati con i quattrini. Nella fattispecie Merkel deve prendere tutto e “liquidare” gli altri. Chi vuole andare con lei, e farsi ancella, ci va. Troppo semplice? I finali dei grandi film sono sempre semplici, o vince il buono o vince il cattivo. Questo lo decide il produttore, non gli attori.
“Via col vento” mi pare la più bella metafora dei sessant’anni di “questa” Europa fallita, il finale, da prendere paro paro, è stupendo. Immaginateli i Ventisei, appaiono disperati, loro seduti, in piedi una indifferente Merkel: “Angela, se tu te ne vai, che sarà di noi? Che faremo?
Angela non muove un muscolo del volto, il suono metallico del tedesco si fa sibilo: “Francamente, me ne infischio.”
Riccardo Ruggeri