Una delle conseguenze del vivere a lungo, specie se la tua vita è stata piena, è la percezione che tutto sia déjà vu. Mi secca usare questa locuzione radical chic, ma è quella che rende meglio la frustrazione che provo dopo l’ennesimo terremoto, con molti morti e feriti. Negli ultimi quarant’anni ne ho vissuti, per fortuna solo indirettamente (in Italia ho sempre soggiornato nella zona gialla), otto, in media uno ogni cinque anni. E’ ormai statisticamente acquisito che un forte terremoto (magnitudo da 5,5 in su) avverrà in Italia entro il 2020. Certo, non conosciamo né la data, né il luogo, probabilmente sarà nella zona sismica 1. Contro i terremoti noi umani nulla possiamo, però se facciamo le mosse giuste di terremoto non moriremo più.
Il protocollo seguito dal paese invece è tutt’altro. Nelle ore e nei giorni immediatamente successivi all’evento, il popolo estrae dalla sua bisaccia morale il meglio di sé (contribuendo con lavoro gratuito o con quattrini ad aiutare i concittadini coinvolti), altrettanto fanno i politici; come ovvio in tutt’altro modo, si scatenano in affermazioni e promesse che sanno poi di non mantenere. La struttura della narrazione dei politici è sempre la stessa: da vent’anni fino al giorno prima di quello in cui il premier di turno ha giurato al Quirinale, l’Italia era vissuta nel più bieco medioevo, come diceva Bartali “l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”, dal giorno dopo del suo insediamento a Palazzo Chigi “l’è tutto giusto …”, qualsiasi cosa abbia fatto o dichiarato di fare è risolutiva (per costoro gli obiettivi hanno il potere di trasformarsi subito in consuntivi). E quei cittadini che non ci credono? Miserabili “populisti”: termine di nuovo conio per indicare persone perbene, non idiote, apòti che non si fidano delle parole, ma vogliono fatti.
Questa la storytelling che ogni volta ci propinano: “La ricostruzione post terremoto”, dicono con la mano sul cuore, “sarà la prima priorità del Paese”, aggiungendo commossi, “non vi dimenticheremo”. Peccato che poche settimane prima, in cima alle priorità c’erano i 4,6 milioni di “poveri assoluti”, oppure le “periferie”, ovvero “l’immigrazione”, e così via all’infinito. Quando tutto è priorità, nulla lo è. Meglio, la priorità è solo una, segretissima, distribuire mance (pardon bonus) al popolo perché il leader possa vincere le elezioni prossime venture. Almeno Andreotti aveva il coraggio di dirlo: “meglio tirare a campare che tirare le cuoia”. Questa è la sintesi della politica italiana, nessuno si è mai sottratto a essa. Noi dei media non siamo da meno, produciamo una quantità impressionante di parole, costruendole, registrandole, sollecitandole, poco importa, in fondo reggendo loro il sacco. Ho cercato di sottrarmi al rito postando il 25 agosto un tweet (“quando ci sono eventi così drammatici, le persone perbene tacciano”) e solo ora, a distanza di un mese e mezzo, in punta di piedi, mi lancio nello scrivere questo Cameo, senza uno straccio di ricetta risolutiva, se non l’immortale sentenza di Leo Longanesi “alla manutenzione l’Italia preferisce l’inaugurazione”. Ciò che avviene in questi tempi, un giorno c’è un’inaugurazione, il giorno dopo l’endorsement di un compare.
Questo terremoto è stato molto crudele in termini di morti, quasi 300 su 5.000 residenti, come numero paragonabile ai 309 dell’Aquila, però su un territorio molto più vasto, molto più popolato, e con un capoluogo di regione coinvolto fino alla sua distruzione. Infatti, diversi i numeri: gli sfollati di Amatrice e dintorni, a regime, saranno 4-5.000, mentre all’Aquila furono 80.000, quasi 20 volte tanto. Da ciò si capisce che i problemi di Amatrice hanno un impatto dimensionale molto più limitato, quindi la risoluzione dovrebbe essere molto ma molto più semplice. Mi piacerebbe che per una volta la stampa, tutta, si facesse “cane da guardia”, (il watch dog della stampa anglosassone) per denunciare eventuali comportamenti negativi del Potere o far conoscere, se ci sono, quelli positivi, senza sconti, ma anche con assoluta onestà intellettuale. Comunque, una cosa positiva il terremoto di Amatrice l’ha mostrata: il popolo è decisamente migliore della sua classe dirigente.
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