Risposta a Paolo, imprenditore edile che sogna un futuro diverso

Molti lettori mi scrivono, premettendo che mi seguono attraverso i Camei pubblicati sui giornali, sul Blog, ascoltano le mie interviste alle radio, leggono i miei libri, dandomi spesso suggerimenti. Ho deciso di rispondere pubblicamente a Paolo Cicognani che ben rappresenta, in termini di profilo professionale, culturale e umano, l’Italia che amo. Si presenta così: “Sono un imprenditore edile sopravvissuto al grande freddo grazie all’attenzione al pensiero laterale e ai segnali deboli. Tra questi ci sono alcune “righe manageriali” che estrapolo dai suoi scritti, e che sono per me una vera scuola di vita. Belli da leggere i suoi “divertissement”, ma Lei potrebbe scrivere cose che nessun altro giornalista è in grado di fare: informarci leggendo gli eventi con la lente business oriented di un grande manager, stimolarci, farci riflettere. Non vogliamo semplicemente sopravvivere, ma crescere, per ottenere il meglio della vita, nel senso cristiano del termine, per noi e per i nostri collaboratori, e non solo, come ora, dividerci le angosce. Dopo essere passati dai prodotti ai processi, con la svalutazione in corso del valore del lavoro e dell’ expertise, il senso del pendolo volgerà di nuovo verso l’attenzione ai prodotti? Ma con chi parlarne? Le chiedo riorienti il suo “lavoro”, ci lanci dei messaggi, ci aiuti”.

Una chiosa, caro Paolo sul concetto “divertissement”, una modalità che ho deciso di usare per sdrammatizzare e umanizzare certi temi non graditi all’establishment. Diverso è il caso della mia guerra al Ceo capitalism, versione criminale (in questo caso il termine non è corretto, è volutamente eccessivo) del capitalismo classico, del quale, le confesso, ho molta nostalgia. Il rapporto capitale-lavoro, e i poteri intermedi “Associazioni imprenditoriali-Sindacati” avevano trovato un loro equilibrio avanzato, il mitico “ascensore sociale” faceva da ammortizzatore delle ovvie tensioni sociali, privilegiando cambiamento e merito. Le sciagurate politiche sottese alla scelta di mettere al centro il “consumatore” anziché il “lavoratore”, lo “stile di vita” anziché la “vita”, ci stanno massacrando. Come giustamente dice lei, è importantissimo che ciascuno di noi legga gli eventi in un’ottica diversa da quella suggerita dal cosiddetto mainstream, noti manipolatori di notizie.

Un esempio a caso: il mercato vegano. I teorici della “cucina etica” (business in grande espansione) hanno scoperto anni fa il potenziale della “quinoa”. Se vuole saperne di più vada sulla bibbia della comunità vegana italiana, un ricettario che propone appunto ricette “etiche, salutistiche, ecologiche, spirituali (sic!) legate allo sviluppo sostenibile”. La quinoa è coltivata e consumata da oltre 5000 anni in Bolivia e in Perù ed è considerato uno degli alimenti più nutrienti esistenti in natura. I contadini dell’interno di questi due paesi, poveri ma sani, avevano trovato la loro dieta ottimale. Spazzata via in pochi anni, in nome di una forma distorta di mercato.
Dieci anni di battage comunicazionale filo vegano e questi poveracci hanno dovuto cambiare il tipo di alimentazione: sono i perdenti della globalizzazione selvaggia. Il prezzo della quinoa è triplicato in 5 anni raggiungendo i 3000 $/ton (e 4-8000 $ per le varietà rosse o nere più pregiate) costringendo il 45% della popolazione boliviana a non poterla più consumare per il loro prezzo finale, ormai proibitivo. Dovendo costoro vivere con 2 $/giorno devono cibarsi di schifezze occidentali caratterizzate dal noto mix “zucchero-sale-grassi”. E oplà, ecco creato un nuovo mercato globalizzato, sottoprodotto povero di un mercato ricco come quello vegano (non conosco vegani poveri).
I contadini boliviani e peruviani rimarranno poveri come prima ma li convinceranno di essere consumatori di leccornie moderne. Nel frattempo si è palesato una forma di banditismo locale, con bombe e rapimenti per la conquista di terreni coltivabili a quinoa. Ovvio, nuovi mercati comportano vecchie violenze, il giochino è sempre lo stesso.

Caro Paolo, così va il mondo: come imprenditori non possiamo cambiarlo, come cittadini sì. Noi piccoli-medi imprenditori non possiamo far altro che adeguarci al modello oggi vincente (sarebbe suicida fare diversamente, ci spazzerebbero via) ma come cittadini dobbiamo considerare questa classe dominante come dei nemici, usando la scheda elettorale come forcone contro i maggiordomi che li rappresentano in parlamento. E attendere, come dice lei, che il senso del pendolo cambi. Alcuni indicatori, e molti segnali deboli, ci dicono che ciò avverrà prima di quando noi potremmo immaginare.

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