A me, Angelino Alfano, versione governativa, piace. A destra e a sinistra, gode di pessima considerazione, ma sul tema migranti lui, e il suo Premier (fisicamente si stanno sempre più rassomigliando), una strategia l’hanno, può piacere o meno (a me non piace), ma la perseguono con determinazione. Per anni hanno messo a disposizione dei migranti una logistica eccellente, li salvavano in mare, li rifocillavano (intanto Coop rosse e bianche ingrassavano), loro volevano andarsene verso l’agognato Nord, per aiutarli non li video registravano, li spingevano verso Ventimiglia e Brennero, violando sì il Trattato di Dublino ma intanto ce ne liberavamo. Ora Francia, Svizzera, Austria si sono stufati delle nostre furbate, hanno blindato i confini, i migranti, non potendo più fuggire verso Nord, cambiano status, loro prigionieri, noi secondini. Come si potrà uscire da questo inghippo? Tutti quelli in arrivo dal corridoio marino Libia-Italia che vogliono andarsene, visto che sarà impossibile, avranno lo status di prigionieri? Non capendo quale sarà il futuro, i cittadini sentono puzza di bruciato, hanno comportamenti, a volte fuori dalla righe, ora a Gorino (con le cassette della frutta come barricate), prima a Capalbio (con barricate culturali e lobbying). Ricordate la notte di San Lorenzo? il governo impose 50 migranti in quel di Capalbio, e fu subito sera. Mi sono riletto le interviste a caldo della colonia di intellettuali e supermanager in un’ottica socio-politica, ho analizzato le parole di tre capalbiesi emeriti: il “principe”, il “politico-intellettuale”, il “manager-imprenditore”. Ero pieno di preconcetti, trattandosi di una fauna sia radical, sia chic (Furio Colombo vuole che le due tipologie siano scisse, e così sia). Ho scoperto che, gratta gratta, erano come noi. Parlando degli immigrati, sia chiaro solo quei cinquanta di Capalbio (non certe le masse, sulle quali gigioneggiano nei talk) facevano la stessa nostra premessa “non siamo razzisti, ma …”. Salvo il linguaggio forbito e colto, erano come Matteo Salvini. Impeccabile lo scenario descritto dal “principe”, sembrava di essere ripiombati nel Cinquecento. Straordinaria la descrizione del substrato culturale nel quale dovrebbero essere collocati i 50 migranti, da parte del grande “politico-intellettuale”. Però solo con l’intervento del celebre “manager-imprenditore”, queste analisi diventavano comprensibili a tutti. Questi premette di essere esente dal morbo razzista (come non credergli), allarga il discorso al dilemma “immigrazione-integrazione-povertà”, lo inserisce nel grande puzzle della società occidentale pikettianamente decadente. La sua idea? “Dare a tutti i 50 un lavoro, così non bighellonano”. Lo status di rifugiato lo vieta? “Rifiutiamoci di sottostare a questa sciocca burocrazia”. Giusto, disruptive innovation direbbe Uber, gig economy direbbe Foodora. In effetti se tutti lavorassero, italiani compresi, le strade si libererebbero di quelli che bighellonano, vedremmo sfrecciare solo driver e rider.
Mutatis mutandis è ciò che dicono, in modo volgare, i vongolari di Gorino, 400 abitanti, tre strade, un ostello-bar. Ezio Mauro su Repubblica ha trovato la sintesi popolare nelle parole di una donna “Qua non c’è niente per noi che ci siamo nati, figuriamoci per gli altri”. Il sottile strato di ipocrisia che finora ci aveva protetti, come un fard colorato, sta sfaldandosi sotto i colpi della Grande Crisi (economica e morale), la solidarietà cristiana, il liberismo compassionevole, la fraternità socialista, non ce la fanno più a competere con la gig economy, questa produce più poveri e sfigati di quanto sia possibile aiutare, se ci aggiungi anche i migranti è la fine. I due casi estremi, Gorino e Capalbio, sociologicamente rappresentano però un aspetto positivo, hanno certificato come noi italiani si sia un popolo unito, a fronte di un problema gigantesco com’è il dilemma immigrazione-razzismo-povertà. Noi, ricchi o poveri, progressisti o conservatori, cattolici o atei, votanti Si o No al referendum, abbiamo una posizione comune, se il problema ci tocca come individui, ci riconosciamo nella stessa locuzione: “non siamo razzisti, ma …”.
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