CI SIAMO. E’ ARRIVATA L’ORA DI SPEGNERE LA LUCE

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Sono nato negli anni bui del fascismo, ero un bimbo negli anni bui della guerra, quindi un adolescente nel buio della guerra civile del primo dopoguerra. Poi ebbi quarant’anni di luce al neon. Ora mi ritrovo, alla fine della vita, di nuovo nel buio di una ignobile guerra e di una crisi di civiltà fra Oriente e Occidente. E sto osservando, impotente, la triste marcia di molti miei concittadini meno fortunati verso il tunnel buio delle povertà (l’uso del plurale è voluto).

Quando sono in difficoltà, come ora, mi butto sui libri.

Così ho ripreso un libro, Buio di Francesca Rigotti (Mulino 2020) dalla splendida copertina di un nero assoluto (come il granito nero assoluto dello Zimbabwe). Francesca ci dimostra che è un falso stereotipo associare alla luce il bene, la conoscenza, la verità, la giustizia, così come lo è associare al buio il male, l’ignoranza, l’oscurantismo. Omero, Leopardi, Lucrezio, Diderot, Novalis (con i suoi meravigliosi Inni alla notte) sono lì per confermarlo.

Il dibattito si è aperto fra quelli che ci invitano a spegnere le luci come sacrificio al mitico “bene comune” e quelli che vorrebbero continuare ad abbagliare noi, negozi, monumenti, per meglio pubblicizzare prodotti e turismo. Dovremo poi chiederci, come fa Francesca Rigotti, che senso ha averci tolto l’oscurità notturna (quelle meravigliose notti illuminate solo dalla luna e dalle stelle della mia giovinezza, ancora esenti dal dio PIL) sostituendola con una illuminazione artificiale, accettabile se moderata ed equilibrata, ma non quando dà origine a una perenne penombra biancastra e mucillaginosa di smog, una pappa omogenea di luci finte che, al Nord, scompare soltanto quando il sole è alto.

Francesca Rigotti racconta un aneddoto riferito al primo Presidente della Repubblica Federale Tedesca, Theodor Heuss. Dopo la prima notte trascorsa nella residenza presidenziale, Heuss sbottò: “Spegnete quei dannati riflettori! Io ho contribuito a scrivere la Costituzione e so che anche da Presidente si ha il diritto di dormire al buio”. Il buio oggi è un privilegio di pochi, limitato a quelli che se lo possono permettere: serve per pensare, per cercare di entrare in contatto con le nostre “profondità”. Tutti gli altri (la Plebe, mix di classi medie e povere ora ricongiunte) sono ridotti a vivere da “servi consumatori, con divano di cittadinanza incorporato”, quindi perennemente sotto le luci artificiali della pubblicità, come fossero pulcini.

Anch’io ho un aneddoto da raccontare. Era il 1976, Carlo De Benedetti era appena entrato in Fiat come azionista e CEO. Convocò una riunione del vertice della “Componentistica Fiat”, una ventina di aziende con 42.000 dipendenti. Chiese chi era il direttore dell’Organizzazione e del Personale. Alzai il dito, ed ebbi la direttiva più chiara della mia vita da manager: “Entro venti giorni sciolga il vertice (era tutti lì presenti, terrorizzati), trovi un posto in Fiat a quelli che lo meritano (“Si ricordi che un coglione resta un coglione ovunque lo metti”), licenzi gli altri, si cerchi un posto, poi spenga la luce”.

Non finì proprio così, i dettagli e il finale lo troverete  sul mio “Una Storia Operaia 1934-2022 (digitare Zafferano.news, una sana auto pubblicità non guasta). Comunque, grazie a Carlo De Benedetti scoprii la metafora dello spegnere luce, applicato al CEO capitalism, allora ai suoi primi vagiti.

Se avessi il potere sulla classe dominante occidentale che, in modo così sciagurato, ci governa da oltre trent’anni (caduta del Muro) con i suoi pseudo “competenti”, ripeterei la stessa locuzione “Scomparite e spegnete la luce. Ce la caviamo da soli”.

Zafferano.news

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