Ringrazio Dio di avermi dato l’opportunità di raccontare, in totale libertà (un privilegio sempre più raro), una settimana di storia italica esemplare. Iniziata domenica 4 dicembre alle 7 del mattino, con l’apertura delle urne, si è conclusa domenica 11 alle 13, con il presidente Sergio Mattarella che affida l’incarico di premier designato a Paolo Gentiloni. In quest’arco di tempo si è consumata la traiettoria politica e umana di Matteo Renzi: fallimento del governo Pd e fallimento della banca del Pd, in contemporanea. Provo a sintetizzarla.
Andato al potere con una congiura di palazzo, condotta in prima persona, Renzi sfida i cittadini con un quesito secco (Sì o No) su una legge costituzionale, rafforzata da una legge elettorale contestata (Italicum). Dichiara che, in caso di bocciatura, si sarebbe ritirato a vita privata. Il popolo accetta la sfida plebiscitaria, va alle urne in massa (70%), lo boccia sonoramente (60 a 40). Allora lui rassegna le dimissioni in diretta tv, anziché darle nelle mani del capo dello Stato (irrevocabili) e mettersi a sua disposizione per fare tutto il necessario per il Paese, e poi sparire di scena. Invece, si sfila dai suoi impegni presi con noi cittadini, negozia, medita la vendetta, vuole rientrare subito in gioco. Si trasferisce a Pontassieve confondendola con Colombey-les-Deux-Églises. Come nonno userò questa vicenda (esemplare) per spiegare ai miei nipoti cos’è e cosa dovrebbe essere la politica.
La sconfitta di Renzi è da imputare ai giovani fra i 18 e i 34 anni: per l’81% hanno votato No. Quando hai 40 anni, sei della sinistra riformista, sei un cattolico adulto, sei premier, eppure quattro su cinque dei tuoi coetanei ti respingono, non hai alternative: se vuoi rimanere in politica, devi scomparire per almeno un giro, come suggerito da Paolo Mieli. Chapeau a questa generazione! Anche l’establishment è stato preso in contropiede, lo si evince dagli insulti che questi giovani hanno ricevuto («stronzi» e «dementi», i più gentili).
La vendetta di Renzi si baserà su un assunto (sms Lotti): «Tutti i voti presi al referendum dal Sì (40%) sono di proprietà di Matteo Renzi, mentre quelli del 60% devono essere divisi fra quattro partiti (pentastellati, leghisti, sinistra, destra non berlusconiana), un’indegna accozzaglia». Attraverso direzione, assemblea, congresso, primarie del Pd e una legge elettorale proporzionale, disegnata da lui stesso (con Silvio Berlusconi di scorta?), dovrebbe essere il futuro candidato premier del Pd, diventato nel frattempo PdR (Partito di Renzi).
Che Renzi volesse tornare subito sul palcoscenico della politica per vendicarsi della sconfitta, per noi del mestiere, era ovvio. La sua personalità ci è chiara da tempo, era stata ben cesellata da un tipico intellettuale della Magna Grecia: «La superbia dell’intelligenza approssimativa». Quello che non mi è chiaro è se l’establishment, detentore della golden share (l’azione d’oro) della politica italiana, intenda ancora puntare su di lui o no (la pessima uscita di scena è stata imbarazzante). Lo capiremo presto. Sono certo che valuteranno attentamente il rischio sotteso a una personalità che in 30 mesi si è completamente trasformata.
I casi Brexit, Trump, referendum hanno loro insegnato che oggi il popolo è culturalmente mutato nei riguardi delle scelte delle élite. I cittadini comuni hanno capito che era sbagliato non andare a votare per protesta o credere alle bugie di media corrotti, all’opposto era proprio il voto che avrebbe rilanciato il loro ruolo.
Quale allora il pericolo mortale per l’establishment? Che il popolo alle elezioni politiche vada in massa alle urne, veda in filigrana dietro il volto di Renzi l’establishment e, per timore di essere buggerato, voti secondo la logica del referendum, cioè non si avvalga del proporzionale ma concentri il suo voto sul partito anti élite più forte e più trasversale (M5s), a costo di turarsi il naso. Sarebbe l’ultimo regalo a un movimento che l’establishment considera suo nemico mortale.
Sono curioso di capire come si comporteranno gli amici dell’establishment. Essendo uno di loro, credo che mai saranno succubi di sentimenti (idioti) come la vendetta, incompatibili con il business.
Riccardo Ruggeri