Qualche sera fa nel salotto di Lilli Gruber c’erano quattro fra i più importanti editorialisti nostrani, due pure direttori. Erano passate un paio d’ore dalla comunicazione fatta, congiuntamente da Luigi Di Maio e da Matteo Salvini al Presidente, proponendo il nome di Giuseppe Conte come presidente del Consiglio dei ministri. Il primo che ha parlato (unico con non velate simpatie grilline e forti antipatie leghiste, mentre gli altri tre erano di salda matrice “partito della nazione”) ha criticato la scelta di un “esterno” al quale sarebbe stato consegnato un “contratto” (modo idiota di chiamare un programma politico) da implementare. I due terzi della trasmissione sono passati citando articoli della Costituzione (dal 95 in su e in giù) esprimendo orrore per la modalità scelta dai due giovani leader. Per fortuna il quarto collega, il più silenzioso fino a quel momento, ha fatto un’impeccabile analisi basata su un’ovvietà: errato continuare a ragionare in termini di “maggioritario” in presenza di un modello elettorale “proporzionale”. Mi pare ovvio che il programma (pardon, contratto) sia preparato dagli “azionisti” di maggioranza (quelli che posseggono la delega degli elettori) e che il premier designato decida se condividerlo o meno. Se lo condivide dichiara che questo è il “suo” programma, in caso contrario rinuncia, punto.
Proprio in questi giorni uno dei personaggi più amati dal giornalismo nostrano, Sergio Marchionne, ha ricevuto l’incarico dai suoi azionisti (Exor e Fondi) di preparare il prossimo piano strategico quinquennale, secondo linee politiche ben precise. Ebbene il suo prossimo successore, scelto proprio per questo, lo dovrà implementare. Nel momento in cui costui accetterà l’incarico di Ceo, in automatico il programma diventerà il suo, punto.
Cari amici, il mondo (vero) funziona così, sia nel business, sia nella politica. Nel caso della politica poi, mai dimenticare, come spesso fanno le élite, che gli azionisti siamo noi cittadini. Penseranno mica di possedere sia la verità assoluta, sia il diritto stare comunque al potere, come fossero gli unti del Signore? Il 4 dicembre 2016 hanno avuto una prima indicazione, il 4 marzo 2018 un secco “uno-due” direttamente dai cittadini, eppure hanno deciso che i due vincitori non debbano governare. Lo si percepisce da un’infinità di segnali deboli. Mi auguro che, in queste condizioni, Di Maio e di Salvini prendano atto che è inutile incaponirsi, meglio che gettino la spugna e lascino il pallino al Presidente che farà quello che crederà più corretto e giusto. Farà il suo governo? Loro votino contro, ne hanno facoltà, quindi si dovrà tornare alle elezioni: questo dice la Costituzione. L’importante è che i cittadini siano informati giorno per giorno direttamente, senza mediazioni di alcun tipo delle varie posizioni e di tutto ciò che sta succedendo.
Per quel che vale (nulla) il mio è un invito alla trasparenza e alla sincerità. Il paese è spaccato in due, non in tre, da una parte tutti coloro che si riconoscono nel Partito della Nazione, i cosiddetti globalisti, i cosmopoliti, chiamiamoli come vogliamo (in pratica il Pd, tutta la Sinistra radicale, Fi, i moderati, pezzi del M5S), dall’altra quelli che chiamano sovranisti. Questi ultimi il 4 marzo, nelle urne hanno vinto, ma pare non basti. Nello stesso tempo il Paese non può passare il suo tempo a bisticciare su un curriculum, su un avvocato che accetta un incarico professionale, addirittura sulla non purezza ideologica di Paolo Savona, un personaggio mitico per un liberale come me.
Tocca ai vincitori fare il sacrificio di offrire all’establishment una seconda chance. Si torni a votare, poi non se ne parli più: i perdenti vadano a casa, i vincitori al governo. Quelli della mia generazione, nati sotto una dittatura, sono disperatamente legati alla democrazia e al voto, per questo ci rifiutiamo di rimanere nella palude fisica e intellettuale nella quale siamo precipitati. Abbiamo bisogno di aria pura.
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