L’anniversario di questo inquietante evento storico, risalente a 500 anni fa, lo anticipò, due anni fa, Élisabeth Clement con un articolo su Revue d’Alsace citando gli Annali di Brant, la cronaca di Hieronymus Gebwiller. In questi giorni l’hanno ripreso Le Monde e il Corriere del Ticino (Carlo Silini). Evento inquietante avvenuto appunto il 14 Luglio 1518 a Strasburgo (oggi equivalente di Europa).
Una popolana, certa Frau Troffea comincia a ballare, non c’è musica, non c’è palco, ma lei balla, balla, al punto che i suoi piedi si riempiono di piaghe e va avanti così, con brevi svenimenti-dormiveglia, per sei giorni. Nel frattempo, altre donne si associano, ballano come lei, diventano un centinaio, alcune non ce la fanno, chiedono aiuto, pregano che qualcuno le blocchi. Nulla da fare, l’ossessione ballerina contagia pure gli spettatori, tutti sono come in trance.
Uno studioso inglese, John Waller, nel 2009 ci ha scritto un libro A Time to Dance, A Time to Die. A un certo punto Frau Troffea (oggi la chiameremmo “paziente zero”) viene portata con la forza dagli scherani del Borgomastro in una cappella dedicata a San Guy, invocato contro l’epilessia (quello che noi chiamiamo ballo di San Vito: Guy è traduzione di Vito). Ascoltate le autorità mediche il Borgomastro decide un intervento drastico: nell’area del mercato del grano, requisito per pubblica utilità, fa costruire un palco, chiama dei suonatori e le lascia danzare a piacimento. Risultato: 15 muoiono il primo giorno, poi la moria continua nei giorni seguenti, fino a quando il Borgomastro dice basta. Licenzia i musici, fa smontare il palco, vieta le danze. Dopo diverse settimane di balli in luoghi nascosti l’epidemia ballerina si spegne. Ci sarebbe voluto il pennello demoniaco di Hieronymus Bosch per raccontare questa storia.
Cominciano gli studi sul perché. Nessuno crede alla prima ipotesi dei medici di regime: cause astrali e il grande caldo di Luglio. Prende piede nel popolo una percezione diversa che via via cresce (curioso, già allora il popolo “percepiva” anziché credere alle fake news istituzionali del Borgomastro) che imputa agli aristocratici i tre anni di carestia e di epidemie nei quali sono stati costretti, ma anche gli ultimi lustri di lassismo morale nei quali era precipitata la città di Strasburgo.
Vent’anni dopo l’evento arriva in città, per studiare scientificamente il caso, il medico, alchimista, astrologo svizzero di fama mondiale Paracelsus: il nome vero è lunghissimo, oggi avrebbe una decina di Nobel in svariate discipline. Scopre che le ragioni profonde del caso sono di tipo sociale, battezza la malattia “chorea lasciva”. La sua analisi è innovativa e parte da un assunto: “Niente irrita più un uomo di una donna che balla”. Nel suo libro, riferendosi a Frau Troffea, scrive: “Per confermare l’apparenza della malattia, ella si mise a saltare, a fare balzi, cantando, canticchiando, sprofondando a terra a danza finita, tremando, per poi di colpo addormentarsi. Ciò dispiacque al marito e profondamente l’inquietò. Senza dire niente e portando a pretesto questa malattia essa schernì suo marito. Ora, altre donne si comportarono allo stesso modo, una istruì l’altra, e tutte finirono con il considerarla un castigo divino”. Era una geniale intuizione di una rivoluzione sociale delle donne alsaziane (note per essere di coscia forte) partendo dal talamo. Chapeau!
Scrive Carlo Silini che potrebbe trattarsi di un clamoroso caso di proto femminismo e nota che a distanza di mezzo millennio ci sono luoghi ove la danza delle donne è ancora considerata una lasciva provocazione al sistema di potere maschile, come l’Iran (ovvio, aggiungo io, è un noto Paese canaglia, maschilista per definizione). E’ certamente così. Ma per me c’è di più. Io mi sono innamorato dell’analisi di Paracelsus perché, partendo dalla medicina, arriva alla sociologia, quindi all’Europa di oggi. Giochiamo a sostituire alla Strasburgo di allora, l’Europa dei 27, al Borgomastro della città, Jean–Claude Juncker, a Frau Troffea e alle donne che l’hanno seguita nelle danze, i popoli dei 27 che “percepiscono carestie, epidemie, lassismo morale” mentre il Borgomastro le nega, e la simulazione sociologica è perfetta. A dimostrazione che il mondo non cambia (se non in peggio?), cambiano i nomi, cambiano i contesti, cambiano le storie, ma per il resto tutto è già successo, furbi e gonzi si riproducono all’infinito, e i primi continuano a gabbare i secondi, da sempre.
A noi oggi manca un Paracelsus 2.0 che ci aiuti a liberarci dai tanti Borgomastri che ci vessano.
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