A metà luglio, l’amico Stefano Lorenzetto mi chiese se fossi interessato a un doppio ingresso, come azionista e come editorialista, in un nuovo quotidiano dal nome bellissimo, La Verità, diretto da Maurizio Belpietro, che non conoscevo di persona, Queste le risposte che gli diedi, e che poi ripetei a Belpietro.
Come editore (Grantorino Libri, sede a Torino, con la mission di devolvere in beneficenza i ricavi), ovvio per me partecipare, con una piccola quota, a un giornale di nuovo conio. Ho passato la vita a gestire, a volte a salvare, aziende in crisi, caratterizzate da business cosiddetti «maturi», per cui, imprenditorialmente, mi eccita la sfida di partecipare alla costruzione di un business che più maturo non si può, il giornale su carta, di cui molti prevedono la morte a breve-medio termine.
Essendo La Verità un’iniziativa nuova di zecca, c’è il vantaggio di non dover fare le doverose e dolorose azioni di ristrutturazione, con molti morti e feriti, e di concentrarsi invece sull’organizzazione manageriale e sul conto economico.
In un business maturo, l’innovatività, non avendola nel prodotto, occorre trovarla nel processo, nel modello di business, nel modello organizzativo, nella scelta delle persone. Una redazione è come una squadra di calcio, un mix sapiente fra vecchi (non bolliti, ma ringiovaniti dalla sfida attesa, che accettano compensi tipo argent de poche) e giovani, possibilmente non rovinati dal micidiale mix Erasmus-master anglosassone-scuola di giornalismo italica, che devono vivere l’avventura come un investimento, e soprattutto far propria la locuzione «io c’ero».
Quanto al conto economico, apprezzai che si fosse deciso di costruirlo sul prezzo all’edicola di 1 euro e con una struttura «leggera» ma non «liquida».
Nessun problema sulla linea editoriale, che deve essere totalmente delegata al direttore. Il nostro giudizio si dovrà concentrare solo sulla qualità e sul numero delle copie vendute. Credo che tutti gli altri azionisti siano, come me, non solo non ricattabili da parte del potere, ma neppure disposti a sottostare a forme mascherate, quindi oscene, di sudditanza intellettuale o psicologica. Uomini liberi che operano e scrivono in libertà: un privilegio raro ai tempi della Brexit, visto che lorsignori non vogliono neppure che si voti «no» solo perché loro si sono orientati sul «sì». Se non ti allinei all’andazzo prevalente, sei degradato a «populista», giochino inaccettabile al quale è necessario opporsi.
I nostri concorrenti? Non c’è partita. Carlo De Benedetti e Urbano Cairo (li considero due amici e li stimo molto) sono due pesi massimi, nessuna competizione con loro, è come confrontare un drone con un F35. Vedo uno spazio di mercato non coperto, quella parte degli italiani, la metà che non vota, sfiduciata, indecisa. In fondo, questo mondo sghembo è stato il mio per tutta la vita, lo è tuttora, lo capisco, e mi affascina molto. Comunque a decidere sono sempre i lettori.
Come editorialista, non tocca a me propormi, il mio profilo pubblico e privato è chiaro: sono un ex, un ex di tutto. Ex operaio, ex travet, ex manager, ex ceo (acronimo inglese che userò spesso, sta per chief executive officer, qualcosa di più del nostro amministratore delegato), ex consulente internazionale di business, ex imprenditore, ex promotore di start up, ex editorialista di un giornale. Non ancora ex blogger, essendo approdato sul Web solo da un paio di mesi. Seguendo il suggerimento che Matteo Renzi diede a Beppe Grillo, sono uscito dal blog (nel talent però io non c’ero) e sono tornato editorialista, su carta, della Verità. Un onore.
Guai a fare collegamenti con il mio ruolo di azionista. I miei 1250 Camei, il mio blog che ne sforna quattro-cinque alla settimana, testimoniano la mia cifra e la mia linea editoriale. Sarà il direttore Belpietro a verificarne la compatibilità o meno con quella della Verità, non vale il viceversa. La riassumo per i lettori.
Da anni sto facendo un affresco del ceo capitalism (mio copyright), versione deviata del capitalismo classico. Lo faccio scrivendo libri e soprattutto con i Camei, minuscoli tasselli (da 3.000, massimo 4.000 battute) che cercano di trovare un posto nell’affresco-puzzle a cui lavoro da anni. I Camei non hanno avversari, hanno solo nemici, in particolare uno, il ceo capitalism appunto, un’entità astratta. Non c’è nessuna persona fra i nemici, essendo questi, almeno per me, solo figurine Panini allocate sullo sfondo del ceo capitalism, talmente piccole da risultare irrilevanti. In Italia possono chiamarsi Prodi, Napolitano, Berlusconi, Monti, Letta, Mattarella, Renzi, l’ottica con la quale li guardo è rispettosa per il ruolo e per le persone, piena di tenerezza per il loro velleitarismo dai difficili sbocchi.
L’accordo con il direttore Belpietro è semplice, identico a quello in uso al Foro Boario di Carrù per il bue grasso, due parole e una forte stretta di mano: nessun compenso, nessuna censura.
E adesso al lavoro. Un abbraccio ai lettori, e grazie perché, nonostante tutto, siete ancora affezionati alla verità.
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