Il mio lavoro di analista indipendente si sta complicando. Avevo imparato a districarmi, con scioltezza, fra le fake news “private” e quelle “istituzionali”, quando le classi dominanti si sono inventate le fake truth (i fatti sono rigorosamente veri ma vengono configurati in modo distorto ovvero nascondono certi aspetti). Temo possano diventare il loro nuovo vangelo comunicazionale, per questo dobbiamo combatterle, svelandone le tecniche e i segreti.
Prendiamo il termine “Mercato”. In questo momento storico, l’establishment italiano, e la sua corte mediatica, sconfitta alle elezioni, esalta il “Mercato”. Sono da pochi mesi all’opposizione, dopo aver governato il paese dal primo dopoguerra a quattro mesi fa, ma già fremono per tornarci ad ogni costo: hanno individuato in Lady Spread la modalità vincente per abbattere il governo Conte. Tutte le élite di ogni ordine e grado, specie ex premier, ex ministri, ex giudici costituzionali dei quattro governi di regime che si sono succeduti dal 2011, e che fanno parte della nuova claque mediatica, si sperticano in lodi verso questi gnomi finanziari che investono i quattrini per le pensioni delle vedove scozzesi o dei pescatori norvegesi.
Lo stesso “Mercato” (con le stesse vedove e pescatori di cui sopra) diventa invece un covo di loschi speculatori appena cambi continente, visto che in Brasile, negli stessi giorni, il “Mercato” punta sul candidato non gradito a costoro, il destro (pardon, il fascistoide) Jair Bolsonero, e non sul mitico Inácio Lula da Silva. Il “Mercato”, che non è fesso, sa quello che le élite fingono di non sapere, e si rifiutano di scrivere, e cioè che il sinistro Partito dei Lavoratori ha saccheggiato per un decennio, con la sua corruzione diffusa e implacabile, le casse dello Stato e il suo capo, Lula, è un criminale certificato (sentenza passata in giudicato). Se leggiamo cosa è stato pubblicato in questi giorni sul Brasile, su Bolsonero, si penserebbe più a una scuola di samba delle fake truth che a dei giornali.
Altro esempio, ma potrebbero essere infiniti. Il premio Nobel per l’economia 2018 viene assegnato a William Nordhaus (teorico della carbon tax) e a Paul Romer (teorico dell’innovazione e dei brevetti). Come si costruisce la fake truth sul Nobel? Prendi un paio di frasi concettuali di entrambi, da una parte “l’economia che protegge il clima”, dall’altro “l’innovazione che determina la crescita economica” (come non essere d’accordo?), le condisci con un attacco sia ai nemici dei vaccini (non c’entrano per nulla, ma non guasta), sia agli odiatori della scienza, una battuta su Donald Trump, un paio di aneddoti, una citazione, ed ecco una fake truth impacchettata e infiocchettata pronta per l’uso.
Peccato che i due Nobel siano stati premiati per altro, ma costoro valutano come sia politicamente corretto tenerlo nascosto. Uno vuole la carbon tax (chi glielo dice a Xi Jinping e ad Angela Merkel, pronti a firmare qualsiasi documento sul clima, non certo a rispettarlo, visto che con il carbone loro ci fanno il Pil?), l’altro, uscito dalla Banca Mondiale sbattendo la porta per la vicenda Cile, è un feroce critico di Silicon Valley. Le Big Five e satelliti vari basano tutto il loro potere (criminale) raccattando ogni brevetto esclusivo e comprando le start up innovative su piazza per incorporarle e chiuderle, al solo scopo di difendere la loro posizione dominante e il monopolio al quale puntano. Hanno più “Law Firm” che ricercatori, perché l’obiettivo non è l’innovazione e la competizione, ma uccidere, legalmente, la concorrenza.
“Restringere l’accesso a qualcosa ne determina il valore ma può portare ai monopoli. Una politica dei brevetti per le idee che non sia escludente e renda possibile l’uso di quei prodotti per la ricerca e lo sviluppo di altre innovazioni”. Questa la sintesi del lavoro di Romer. Inaccettabile per le felpe californiane e i loro supporter. Poi, Paul Romer è il nemico storico della “mathiness”, la tecnica (pelosa) di presentare tutto in termini matematici. Bolla questa modalità come furbata per spacciare, dice, “un’ideologia politica come fosse una scienza”. Bisogna riconoscere che Federico Rampini invece, in solitario, ha pubblicato sui Nobel un pezzo impeccabile e professionale e non una banale fake truth come altri. Chapeau!