Comunque vada a finire il dieselgate in America per Marchionne sarà dura vendere Fiat-Chrysler

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Ci sono due modi per narrare il diesel gate euro americano: 1. Quello del vecchio giornalismo d’inchiesta; esempio fuori sacco: Christophe Brusset, lo Snowden del cibo trash (secondo nome del cibo globalizzato), è la storia dell’attuale industria alimentare che, seguendo il protocollo classico del ceo capitalism, è impegnata a fare quattrini a spese dello stomaco dei cittadini. Il dieselgate si presterebbe alla bisogna, basterebbe assemblare strategie-comportamenti organizzativi degli americani (non posseggono la tecnologia del diesel auto, ergo fanno business con le norme: asticelle altissime, controlli feroci, multe fantozziane), degli europei (sono leader mondiali, ergo asticelle medie, normative lasche, pochi controlli), aggiungere una spruzzata di post verità, legata al fascistoide passaggio di consegne voluto dal duo Obama-Clinton, ed ecco un pacchetto ben infiocchettato. Quando i media sono posseduti da lor signori ciò è tecnicamente impossibile (ve la immaginate oggi un’indagine vera sugli operai-schiavi della logistica?). 2. Narrarlo invece secondo l’ottica di un investitore: il mio approccio.
Dal 2009, operazione Fiat-Chrysler, ho scritto più volte (persino un libro, decine e decine di articoli) sempre dal punto di vista di un (piccolo) investitore quale io sono. Il mio giudizio su Sergio Marchionne è molto positivo, purché lo si valuti come uomo di business estremo (è uno dei migliori “deal maker” su piazza), dal titolo Fca ho avuto diverse soddisfazioni economiche. Se però ragiono da cittadino italiano e da torinese il giudizio cambia, ma questo attiene a una mia (irrilevante) visione privata del management e della vita.

Anche se lui non lo dirà neppure sotto tortura (e bene fa), stante la situazione dell’azienda, del posizionamento di mercato, degli obiettivi del suo business plan, a mio parere Marchionne non ha altra opzione strategica che vendere Fca, e presto. Certo, lui usa il termine consolidamento, si dice sogni di essere “posseduto” dalla Gm di Mary Barra, che però continua a rifiutare le sue avance. Per inciso, Barra è uno dei 15 “cervelli presidenziali” che assistono Donald Trump per gli aspetti strategico-industriali.

Questa della necessità di vendere Fca è solo una mia valutazione da investitore, comunque questo evento proprio non ci voleva. Fca è alla fine del processo di indagine dell’agenzia federale dell’ambiente (Epa), equivalente all’avviso conclusione indagini della nostra magistratura penale. Invece Volkwagen ha terminato anche il secondo, definitivo ciclo processuale: ha riconosciuto le sue colpe, ha pagato i clienti (500.000) della “class action”, sborsando 14,7 miliardi $, e altri 4,3 al governo come multa. Il caso americano, per lei è chiuso, la domanda è altra: come sopravviverà a questa batosta da 20 miliardi cash?

Dalle prime informazioni, una differenza fra i due casi c’è. Parrebbe acquisito che i due algoritmi, nell’uso “su strada”, indicassero entrambi il superamento dei limiti ammessi dalla legge, mentre in sede di “omologazione” li rispettavano. Pare però che nel caso VW si aggiungesse un falso: l’algoritmo, nella fase “prove al banco di veicoli prelevati dalla strada”, interveniva, mascherando i dati, mentre quello Fca pare non li mascherasse.

Dal punto di vista legale ciò è rilevante, ma dal punto di vista della class action assolutamente no. VW ha pagato 14,7 miliardi $ ai 500.000 clienti semplicemente per il non rispetto delle specifiche indicate al momento dell’acquisto dell’auto, poi 4,3 al governo per la multa. Se fosse riconosciuta colpevole Fca dovrebbe pagare un quinto di tale cifra, più la multa al governo. Stessa domanda, come sopravviverebbe a questa batosta da 6-7 miliardi cash?

Se la strategia della vendita di Fca fosse veramente nei pensieri di Marchionne e di Exor (e non solo nei miei) sarei molto preoccupato. L’arrivo di Trump, i faticosi passaggi di consegna nelle agenzie federali fra due modelli culturali così agli antipodi, la rilevanza degli addebiti, le date scelte, la percezione (colta in tv) di momenti di apparente “crisis management” nelle comunicazioni avvenute fra le 18 e le 21 di giovedì 12 gennaio, come investitore mi hanno turbato. Nulla di più, ma anche nulla di meno.

Riccardo Ruggeri

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