DALL’IMPOTENZA DEL G20 AGLI STIMOLI DEL G3

Di 0 No tags Permalink 2

Lo confesso, i G7 e i G20 li seguo con più soddisfazione da quando c’è Donald Trump il “buzzurro” (lo considero un mio affettuoso copyright che gli ho assegnato in tempi lontani, quindi non sospetti: era ancora un immobiliarista). Che ci sia finalmente un Presidente degli Stati Uniti che tratta a muso duro un paese canaglia come la Cina di Xi Jinping (dopo aver ascoltato per anni le accuse, sacrosante, delle élite europee e dem. sui diritti umani in Cina, subito scomparse all’aumento del fatturato, come fossimo tutti dei Dolce & Gabbana qualsiasi), mi dà sicurezza psicologica. E pure che tratti, come si meritano, due palloni gonfiati (politicamente parlando, of course) come Emmanuel Macron e Angela Merkel mi diverte assai.

Come analista di strada ho apprezzato le conclusioni del G20 argentino, proprio perché non ci sono state. Sono passati dieci anni dalla Grande Crisi del 2007-8 e stiamo tornando ad allora. D’altra parte non poteva essere diversamente: identico il modello cultural-politico-economico (Ceo capitalism), identica la classe dominante, identici i kapò assegnati alla gestione, mascherati da “competenti”. Credo che nella storia umana mai si sia visto che coloro che hanno creato una Grande Crisi, come quella 2007-8, e relativo modello, siano gli stessi, con identico modello, ora certificato come fallimentare, chiamati a risolverla. Non dico tagliare loro la testa ma almeno licenziarli e inviarli ai Caraibi in pre pensionamento perenne sì.                                                                                                                                                                                     .

La strategia dei “cerotti” (le politiche monetarie straordinarie delle banche centrali), quella delle “punture” (iniezioni di liquidità a gò gò) si sono rivelate null’altro che cure omeopatiche. Persino, lo choc fiscale di The Donald sta perdendo vigore, al punto che il Presidente chiede alla Fed di smetterla di aumentare i tassi d’interesse, quindi normalizzare la politica monetaria.

Secondo il mio amico XY (banchiere ed economista svizzero, a volte fuori dal coro) stiamo tornando al 2007. Stagnazione dei redditi, esaurimento degli stimoli delle Banche centrali porta in automatico a una decrescita dei consumi, se non ricorrendo al credito. Come ovvio, a questo punto gli investimenti rallentano e le migliori aziende quotate sfruttano il basso costo del denaro per indebitarsi e riacquistare così azioni proprie di cui si fidano. La “volpe” XY traduce queste mosse in investimenti finanziari per se e per i suoi clienti, convinto com’è della totale dipendenza dai mercati finanziari, al punto che le stesse Banche centrali stanno operando per tenere in piedi il ridicolo castello di carte al quale si è ridotto il mondo del credito. “Quando le carte diventeranno cartacce sarà l’inizio della fine”, dice pensoso XY.

Tutto ciò mi porta a una riflessione. Quando facevo il Ceo di multinazionali ero convinto che le società occidentali operassero in un’atmosfera di stimolante dinamismo imprenditoriale, alla ricerca di un legittimo profitto ante imposte (imposte che poi, allora, venivano pagate). Mi avevano insegnato che il profitto è il risultato finale di un’attività atta a produrre lavoro e ricchezza, mentre la rendita è il trasferimento di quattrini da un tizio ad un altro, e questo negozio sopravvive solo se c’è espansione economica. Ed era così. Ora mi accorgo che con il giochino di mettere al centro il “consumatore” (in realtà un poveraccio, paravento di alcuni sociopatici, che grazie a lui sono diventati in fretta e furia fantozzianamente ricchi) la rendita sta vincendo. Se continua così, sarà un mondo bollito, saremo tutti succubi dello scivolamento verso una dittatura di monopoli privati e organizzazioni sovranazionali in joint venture fra loro, che ci porteranno all’essere dominati dalla Cina di Xi.

Per questo capisco la strategia dell’apparato industrial-militare americano che guida The Donald: puntano al superamento del G7 (ci sono 6 pesi morti) in un G3 (finirà G2 vs G1?), con l’Europa fuori dai giochi di potenza. D’altra parte è l’Europa stessa che ha scelto di essere una succursale dell’Onu, una Disneyland tutta principi, teorie, sociologia d’accatto, niente execution. Il discorso di Emmanuel Macron è stata la rappresentazione plastica di un mondo che si sta disfacendo, il trompe-l’oeil  del Ceo capitalism. E così sia.

riccaroruggeri.eu

Comments are closed.