Un anno fa scrissi un Cameo simile a questo. E’ l’effetto ferragosto che colpisce noi giornalisti. All’inizio dell’anno, essendo degli inguaribili ottimisti, immaginiamo che i primi 250 giorni dell’anno saranno esaltanti, siamo convinti che ci attenda un grande futuro, siamo certi di poter scrivere pezzi pieni di speranza, desideriamo che non ci siano guerre, che i terroristi islamici diventino buoni, che l’immigrazione economica arretri, che i rifugiati siriani arrivino in corridoi umanitari così apriremo loro le nostre case, che l’economia mondiale cresca all’impazzata, che Papa Bergoglio continui a parlare un linguaggio talmente popolare da confonderlo con uno di noi, che il Pil cresca almeno di “uno virgola”, che le banche si decidano una volta per tutte: o falliscano serenamente, o sopravvivano con i quattrini dei loro azionisti, e supermanager e controllori si accomodino in galera.
Dopo il Ferragosto, le speranze lentamente si spengono. Eppure ormai è certo: il Pil crescerà, tutti gli indici andranno all’insù, ma quel birbante del debito, curiosamente si rifiuta di scendere (sarà perché noi ci rifiutiamo di incominciare a rimborsarlo?), così miserabili eravamo e miserabili rimarremo. Come se non bastasse, anche quest’anno ho dovuto prendere atto di un fatto, per me sconvolgente: al Po non arriva più l’acqua del Monviso. Non lo credevo possibile. Eppure lo confermano i filmati tv.
Le fotografie della mitica sorgente del Pian del Re (mai nome fu più azzeccato) ai piedi del Monviso (con il Monte Ben Lomond nello Utah se la batte per essere considerato il monte del logo Paramount) sono agghiaccianti, direbbe Antonio Conte. Così il primo tratto tra Revello e Martiniana Po, nel Saluzzese, per non parlare del “mio ”Sangone”. Sulle sue sponde, nel 1940 (frequentavo la prima elementare), una volta alla settimana Benito Mussolini ci obbligava, guidati dal nostro maestro (lui in orbace, noi vestiti da figli della lupa), a cercare lungo il suo greto, e a consegnare al maestro, dei pezzi di metalli vari, che dovevamo chiamare “Ferro alla Patria”, anche se era latta. Veniva pesato e immagino comunicato a Palazzo Venezia, come oggi si fa con i dati Istat sull’occupazione. Lo confesso, preferivo gli altri giorni, quando in classe si facevano le aste e si contava con il pallottoliere.
Oggi, quando finalmente il “mio” Po (non perdonerò mai alla Lega di aver mandato a prelevare l’acqua benedetta un grezzo lombardo, certo Umberto Bossi, e non Gipo Farassino, mitico cantore delle nostre case di ringhiera (a proposito, la mia casa di Torino è di ringhiera) arriva a Torino, è un fiume malato, è stravolto, sembra appena uscito da una camera iperbarica. Anche quest’anno si è fatto possedere, peggio violentare, da orrende piante acquatiche tropicali, giallognole, che fanno sembrare la “mia” piazza Vittorio Veneto uno stagno laterale del Taj Mahal.
Ora mi attendono gli ultimi 100 giorni del 2017. Il mio problema non è cosa scrivere. Per fortuna ho più idee che capacità e energie, soprattutto ho uno schema. È simile a quegli album dei bambini dell’asilo, la figura c’è già, me la consegnano ogni giorno queste ridicole leadership del G7, del G20, basta colorarla. Continuerò con i miei Camei, il problema è loro perché dovranno riuscire a trovare posto nel grande affresco-puzzle che sto scrivendo da una decina d’anni. La mia linea editoriale è sempre la stessa, ma ripeto il problema non è cosa scrivere, ma cosa leggere. I giornali sembrano tutti uguali, Repubblica, Stampa, SecoloXIX lo sono proprio, tre Big Mac, differenziati solo dal tipo di lattuga. D’altra parte è giusto così, ormai i grandi quotidiani occidentali si limitano a mettere in bella le storytelling degli uffici stampa e degli spindoctor dei leader (pensiamo al mitico Washington Post diventato il giornalino del dopolavoro Amazon). I giornali un tempo indipendenti stanno diventando di partito, quelli di partito stanno trasformando il commento in ossequio.
Se ti butti sui topfive della stampa anglosassone è ancora peggio: fuffa e cipria si alternano, seppur con grande eleganza. Meglio Internazionale (cioè sempre loro), almeno hai, in italiano, un concentrato del peggio del meglio. Persino le analisi su Kim sembrano veline, i commentatori di regime non sono ancora riusciti a mettersi d’accordo: è un pazzo o è un idiota?
Riccardo Ruggeri