In qualità di accompagnatore ho passato due giorni in un pronto soccorso di un grande ospedale pubblico italiano (dove a mia moglie sono stati applicati in modo esemplare tutti i protocolli medici del caso) e tre giorni in una elegante casa di cura privata (volevo che trascorresse un periodo di decompressione in una struttura medica protetta e confortevole prima del ritorno a casa). Applicando le mie teorie sui segnali deboli ho avuto conferma di ciò che sapevo già leggendo i numeri della sanità. La sanità pubblica, almeno al nord, funziona al meglio delle sue capacità tecniche, grazie a medici e paramedici (da ex manager licenzierei gli addetti amministrativi in esubero e assumerei giovani medici e infermieri, il blocco delle assunzioni è pura idiozia, se non si interviene a rafforzare queste strutture ci sarà il fallimento del sistema). L’esperienza nella clinica privata è stata positiva, nel senso che lo scopo non era medico ma di decompressione dopo il trauma: una specie di hotel sanitariamente protetto. Qua la mia esperienza di manager mi ha permesso di difendermi da tutti i tentativi della clinica nel fare business su di noi, essendo la loro vera mission una sola: fornire prestazioni inutili a prezzi folli.
L’aspetto professionalmente più interessante delle lunghe ora di attesa al pronto soccorso pubblico è stato l’ascolto delle conversazioni fra i parenti dei pazienti. Su un video si seguiva l’andamento temporale dei singoli ricoverati in funzione delle loro iniziali e del codice assegnato (rosso, giallo, verde). Tutte le classi sociali erano presenti: gli alto borghesi erano i più irrequieti, non accettavano i tempi di attesa definiti dal codice colore-ora di ricovero, brigavano con il cellulare per passare, artatamente, dal verde al giallo, unica modalità per guadagnare posizioni. Ogni volta che fallivano provavo una grande soddisfazione. Classe media e classe povera ormai non si distinguono più, se non dalla scolarità della lingua parlata. Comunque quando l’attesa del primo della lista (PR) raggiunse i 150 minuti, la stanchezza prese il sopravvento, subentrò una cauta accettazione del destino, il congiunto per un momento venne dimenticato, il video guardato non più per le tempistiche ma per la striscia delle notizie politiche che comparivano nella parte bassa dello schermo. Quel giorno molto spazio al dibattito a distanza (in verità criptico) fra Emma Bonino-Matteo Renzi sull’allegato 3 dell’accordo 2014.
Mi permetto di suggerire agli spin doctor di Matteo Renzi e di Silvio Berlusconi di frequentare questi luoghi: la tensione e la stanchezza rendono più veri i giudizi del popolo sui politici. Scopriranno un’ovvietà: le cose che contano per gli italiani sono solo due, il lavoro declinante, l’immigrazione crescente: in soldoni, più lavoro meno immigrati, il resto è fuffa . Per fortuna, non erano ancora comparsi: a) il dilemma fiducia o no sullo jus soli ; b) legge Fiano sul fascismo di ritorno (si potrà dire “il treno è in orario” senza passare per fascista?); c) la straordinaria vicenda della “nave-monumento della tolleranza” portata a Capalbio da Jacaranda Caracciolo Falk (rifiuto ogni commento, l’idea, l’azione, il nome di costei ben riassumono lo sfacelo di questo mondo).
Avendo ascoltato per due giorni la cinquantina di persone del pronto soccorso, come ovvio non statisticamente significativa, il duo Renzi-Berlusconi ne esce male. La locuzione di Claudio Velardi su Matteo Renzi “Non lo reggo più” ha colto in pieno il sentimento popolare nei confronti dell’ex premier: il giudizio su di lui ha cessato di essere politico diventando fisico. Altrettanto preoccupante la situazione di Silvio Berlusconi nel senso che, a differenza di Renzi, nessuno lo contesta, nessuno lo apprezza, peggio nessuno ne parla, nell’immaginario collettivo è come se avesse preso il posto di Pippo Baudo, una celebrità di un tempo che fu.
Come analista, esco da questa esperienza arricchito di molti stimoli e di una certezza: le classi medie e povere sono nettamente meglio delle élite, vere o presunte.
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