“AMO L’ODORE DEL NAPALM AL MATTINO” (3)

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Questo è il terzo di cinque pezzi che usciranno sulla Guerra, letta con le categorie culturali e organizzativa di IDEA.

Qua le parole non saranno arsenico, ma semplicemente andranno a comporre battute cinematografiche, come “I love the smell of napalm in the morning” di Francis Ford Coppola. É il mondo in cui viviamo. É quello che Roberto Calasso chiamava “l’innominabile attuale”, cioè un tempo senza nome, privo di connessioni e di identità, nulla che ne segni il senso e il destino.

Lo aspettavo con ansia, e un giorno Megalopolis finalmente è arrivato nelle sale. Poco c’è rimasto! La critica woke decise che era un flop. Compagni woke, e se vi foste sbagliati, e fosse invece un capolavoro semplicemente sgradito? 

Volevo usarlo per una serie di Camei che avevo in gestazione da anni. Aspettavo non tanto il film, quanto la comunicazione sulla modalità usata da Francis Ford Coppola per la sua idea di film: un parallelo fra l’antica Roma e l’attuale New York, ispirandosi al libro De Catilinae coniuratione di Gaio Sallustio Crispo, scritto fra il 43 e il 40 a. C, dove potere, politica, guerra, si avvinghiano, disperatamente. Un tema affascinante, di grande attualità. Perché l’Occidente di oggi diventa via via speculare con la Roma di allora, essendo governate da “un’élite di famiglie patrizie che si godono piaceri proibiti, mentre i plebei vivono in povertà” (diceva quello).

Il Festival di Cannes, con sette minuti di standing ovation, ha fatto ciò che doveva fare: offrirgli una degna platea. Inutile premiarlo, essendo già uno dei più grandi registi, quello dell’indimenticabile Padrino. Chi conosce l’America non può non aver percepito che fin dalla sua fondazione Hollywood è stato, seppur sotto maschera, l’Ufficio Stampa e Propaganda del Pentagono, della Casa Bianca, di Wall Street, dell’apparato industrial-militare, del Deep State, insomma dell’Impero Americano. Impero di cui noi europei siamo sudditi. Suggerisco di non dimenticarlo mai, possiamo fingere di essere socialisti, liberali, conservatori, altro, ma non dobbiamo mai dimenticare che siamo, dai primi anni del Novecento, strutturalmente sudditi dell’America. Nel bene e nel male.

Geniale il Maestro Coppola ad assumere l’ipotesi storica da tutti trascurata, cioè che Catilina era il Saggio (e non il Folle) e Cicerone non il Difensore della ragione ma un ottuso Conservatore. Geniale, in termini cinematografici, e con una chiara impronta shakespiriana, prevedere che Julia, figlia di Cicerone, si innamori di Catilina. Le scene del parallelismo Roma-New York trovano la loro consacrazione quando i due si sfidano nel Senato Romano pieno di telecamere, di fotografi impazziti, di insopportabili flash, gladiatori che ricordano il wrestling, bighe che sembrano Tesla povere, con costumi meravigliosi e scenografie sottratte ai magazzini dei vecchi colossal hollywoodiani.

Coppola si pone con grande serietà la domanda delle domande di quest’epoca: la società in cui viviamo, e che l’America ha imposto al mondo con le buone, spesso con le cattive (la mitica “esportazione della democrazia, attraverso il bombardamento dei civili”, del trio Clinton-Bush-Obama, quando “l’invasione” era ammessa dal nostro diritto internazionale) è l’unica alternativa possibile per noi cittadini del mondo? Si lancia pure nell’ipotesi di un’utopia alla quale bisognerebbe pensare da subito, prima che ogni cosa venga travolta dal sistema dei valori (disvalori?) ormai superato? Un’utopia nella quale il Cameo, sorridendo, si dibatte da tre lustri.

Tirèmm innànz. Se torniamo al Terzo Secolo d. C., torniamo alla frase che dominava i salotti delle ZTL di allora: “Quando cadrà Roma, cadrà il mondo”. I patrizi di oggi si adeguano. Dicono: “Armiamoci! Guai se cade l’Occidente liberale e democratico, perché cadrà il mondo!”

Una panzana allora, una panzana salottiera oggi. In realtà, Roma cadde, e rovinosamente, e solo per colpa delle classi patrizie romane, ma poi ci fu la Seconda Roma (Costantinopoli) poi la Terza Roma (Mosca) e il mondo, per fortuna, sarà sempre lì, a produrre nuove Roma. La Quinta Roma sarà Pechino, alla fine del breve ciclo di New York?. Patriziati ignobili e corrotti da sempre ci stanno portando al fallimento, certo, ma che Plebe sarebbe se non avesse speranze?

Diamoci una calmata. Stiamo semplicemente vivendo la frenesia autodistruttrice di un fine corsa di miserabili élite impazzite, eccessivamente colte sul nulla, e dei loro figli e nipoti che amano definirsi “Ultima Generazione”. Definizione impeccabile.

Loro malgrado sono ottimista: il CEO capitalism fallirà serenamente, come serenamente è fallito il comunismo e prima il nazismo, per raggiunto debosciamento, senza bisogno della Terza Guerra mondiale. Immagino sia già tutto scritto nel grande libro della Storia. E i poeti ci arrivano prima a comprendere il futuro, come è stato per Kavafis e per  Coppola.                                                                                                                          

Prosit al colto pubblico e all’inclita guarnigione guerresca!                                                                                                               (3 continua)

Zafferano.news

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