Al Bar di Nadia oggi niente domande da bar su politica, per qualche ora ha dominato il dilemma: al Billionaire si prende il Covid-19 o la prostatite? Poi il caso Inter e Antonio Conte hanno preso il sopravvento, basta virus e terrore politico mediatico, finalmente calcio parlato. Il gossip dei giorni scorsi dava per certo il divorzio, facendo felici sia gli interisti per la juventitudine di Conte (guai parlare loro di Massimiliano Allegri, il languido Obama degli allenatori), sia gli juventini, che non si fidano ancora dell’imberbe Andrea Pirlo e temono la ferocia panchinara del loro amato ex in un anno di transizione come sarà il prossimo, sia la stampa sportiva, tutta schierata con la dirigenza.
Il giovane Presidente Zhang si è rivelato per niente uno sprovveduto (i cinesi sono noti nel mondo per gabbare il prossimo, non per essere gabbati) e ha spiazzato tutti: in primis il management dell’Inter, le élite interiste dei salotti radical chic milanesi, i giornali sportivi. Secondo costoro avrebbe dovuto continuare a pagare gli errori dei manager: il “loro” Spalletti (dimissionato) e pure il “loro” Conte (assunto). Questi non hanno capito che se applichi alle squadre di calcio il modello organizzativo del CEO capitalism (l’azionista mette i quattrini e si lega mani e piedi al CEO che è il dominus assoluto) la certezza di perdere i quattrini è altamente probabile. La modalità managerialmente corretta è quella adottata al Napoli da Aurelio De Laurentis. Il Presidente di una squadra di calcio si deve comportare da satrapo mascherato dal politicamente corretto (modello Harvey Weinstein prima maniera) , come hanno sempre fatto i Produttori di film. Visto che i quattrini sono suoi, tutti i poteri a lui, che gestisce con pugno di ferro personaggi “viziati” per definizione, come gli attori e i registri, ergo i calciatori. I supermanager? Inutili, basta un buon ragioniere. Punto.
Personalmente ho sempre scritto che gestire una squadra di calcio è molto più difficile che gestire una multinazionale, per la complessità dei problemi, dei vincoli nella implementazione delle strategie aziendali, per i difficili equilibri psicologici da trovare con personaggi che spesso per età, vanità, capricci sono fuori dagli schemi dei comportamenti organizzativi classici. Con la recente introduzione delle figure dei procuratori, i processi manageriali si sono ulteriormente complicati e diventati di certo più costosi. E’ probabile che grazie al Virus i Presidenti capiscano che è arrivato il momento di una grande ristrutturazione del business calcio e del suo riposizionamento strategico nell’area del entertainment, che a sua volta subirà pesanti condizionamenti politici. Se si va verso la strategia del lockdown strategico perenne (ottimale per mantenere il potere delle classi dominanti attuali) i cambiamenti dello stile di vita saranno a loro volta una variabile importante.
Il calcio è nato come gioco ma, almeno a Torino, è diventato subito sociologia in purezza. Durante il Regime, prima liberal-giolittiano, poi fascista, essere del Toro significava essere antifascista e antimonarchico. Fra tutte le miei infinite conoscenze non c’è un radical chic del Toro. Il quesito che i Presidenti si devono porre è: come sarà il calcio nel decennio 2020-30?