Pur non potendomi fregiare di alcuna competenza accademica mi lancio nel riassunto giornalistico di una serie di ovvietà sul momento economico, dopo essermi confrontato con il mio solito amico, un banchiere svizzero. Sono passati molti mesi dalla Brexit, mi sono riletto i ritagli di giornali e di riviste ove si erano esercitate le più grandi menti politico ed economiche dell’Occidente sui disastri conseguenti al “no”. Ci sono tutti, persino ridicoli finanzieri londinesi e bolsi supermanager nostrani: scenari, parole, scritti, che oggi fanno scompisciare dal ridere. Il solito implacabile “mercato” avrebbe dovuto supportarli, in realtà li ha abbandonati al loro destino. Ancora a fine agosto la Bce per giustificare una estensione del suo faraonico piano di acquisti mensili di obbligazioni statali e private, definiva questa azione una conseguenza, in parte, della Brexit. Ormai è chiaro, non vi è stato alcun effetto Brexit, così come l’arrivo di Trump ha avuto l’effetto opposto a quello che avevano previsto. Eppure i leader attuali, eletti e no, pur avendole sbagliate tutte, ripetono fino alla nausea le loro frasi da oracolo delfico, ovvietà spacciate per genialità, buffoneschi colpi di bazooka e quant’altro. La crescita non è ripartita, il calo degli investimenti è proseguito, la produttività resta moscia, le pressioni deflazionistiche sui livelli salariali permangono. Eppure, costoro non hanno perso neppure un grammo della loro supponenza. Hanno coniato una locuzione magica per difendersi: “pensate cosa sarebbe successo se non avessimo fatto ciò che abbiamo fatto”. A questo punto, uno perbene tace o ironizza. Mi sono rifugiato in un tweet “Non ricordo il nome dell’Imperatore del III secolo che aveva detto: il sesterzio è irrevocabile”.
Sono passati otto anni dalla crisi finanziaria, quelli che l’avevano creata e cavalcata (tutti anglosassoni), anziché essere in galera o in fuga, stanno diventando sempre più ricchi, le scelte fatte (misure straordinarie di politica monetaria, riforme cosiddette strutturali, aumento della spesa pubblica, debiti a carico dei nostri nipoti) non hanno dato risultati, ma questi non si arrendono all’evidenza. Anziché ricevere le loro scuse e dimissioni, abbiamo dovuto aspettare gli operai dell’Inghilterra profonda, quelli americani della “cintura della ruggine” per sapere quello che ci avevano nascosto: il flop della mitica “globalizzazione”, ormai la difende solo un losco gerarca cinese, e ha pure l’impudenza di farlo da Davos.
L’establishment abbia il coraggio di dire la verità, a reti unificate: abbiamo fallito, il nostro eccesso di intelligenza ci ha tradito. Cosa ci resta di quel sogno? La gig economy l’economia dei lavoretti, i driver di Uber arrivati a fare 50 ore a settimana.
Dice il mio amico banchiere: “Si decidano a rompere il salvadanaio della globalizzazione, riformino radicalmente la finanza fino a ridurla a banale utility, via gli incentivi perversi, andarsi a rileggere, con gli occhi di oggi, le regole di Bretton Woods, ridiano dimensione e dignità al lavoro e ai lavoratori, rimettano in moto l’ascensore sociale, rottamino la maggior parte dei Ceo, figure fallimentari ormai superate dalla storia. Molti di noi non accettano per i propri nipoti un mondo dove il lavoro sia una commodity, il salario non sia frutto del loro lavoro, ma un assegno statale di cittadinanza, perché una mafia digitale continui a giocare con piattaforme che trasformano i nostri nipoti in zombie ciondolanti, costantemente connessi”.
Come ovvio sottoscrivo, nell’epoca della tecnologia avanzata le rivolte contro il potere non si fanno più con le armi, con i moti di piazza, con gli scioperi, ma nella cabina elettorale, tutto è e deve essere referendum. Il magico “no” di Brexit ha aperto la strada, l’”impresentabile Trump” l’ha trasformata in un’autostrada . Così succederà in Europa? Non lo so ma so che si debba andare, in massa a votare, per qualsiasi votazione, anche la più banale, valutiamo i leader in base ai risultati (parole e giustificazioni non interessano), se lo riteniamo giusto mandiamoli a casa. Senza rabbia, senza inutili parole, sorridendo: “Sorry”.
Riccardo Ruggeri