Un divertissement sognato: simulare, per un giorno, di essere l’editore di uno dei due grandi quotidiani italiani

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Curiosi i casi della vita. Il primo incarico da amministratore delegato (La Stampa di Torino) me lo offrì UmbertoAgnelli. Avevo 43 anni. Dai 19 ai 40 ero stato prima operaio poi travet d’infimo ordine. Per vent’anni in Fiat svolsi solo lavori idioti, per cui trascorrevo il tempo libero (tanto) a studiare, tutto ciò che capitava. Accumulavo conoscenze come fossi un container di merci alla rinfusa. Imparai poi a selezionarle e a fare i collegamenti: con quel metodo ci campo ancora oggi. Un giorno passò l’ascensore (quello sociale, allora c’era), ci salii, pochi anni e mi trovai a respirare l’aria rarefatta dell’Olimpo, fino a convivere, per vent’anni, con Zeus. Lì imparai come funzionava un certo mondo, non l’ho più dimenticato.

La proposta di Agnelli era prestigiosa però ebbi l’intuizione (animalesca) che quello non avrebbe mai potuto essere il mio mondo. Intuizione giusta, la dimostrazione l’ho avuta trent’anni dopo: da dieci anni infatti scrivo furiosamente pezzi ma vivo, per miei limiti, ai margini del grande giornalismo. Per fortuna ho il mio Blog, soprattutto alcuni direttori perbene (perché all’antica?) pubblicano i miei Camei anche se, il più delle volte, i miei pezzi non sono allineati alla loro linea editoriale (Un doppio grazie). La mia è una linea editoriale chiara: non mi riconosco in nessun partito, sono banalmente perbene, ho un nemico mortale, glielo ho comunicato per scritto anni fa: il ceo capitalism di matrice californiana, quindi la Cina di Xi Jinping.

 

Il mio rifiuto dell’ad de La Stampa creò stupore. Ebbi allora amministrazioni delegate solo di aziende in crisi o tecnicamente fallite. Intuii subito che invece quel mondo era il mio. La crisi diventerà la mia cifra professionale e umana, credo che pochi individui abbiano studiato (e anche amato) la crisi come modello di sviluppo, di crescita professionale, di stile di vita personale, come ho fatto io per quarant’anni. Grazie a quelle esperienze, nella Grande Crisi attuale sono a mio agio. Grazie ai segnali deboli che colgo in continuazione sono più facilitato a comprendere i meccanismi che la regolano, quindi le evoluzioni che potrebbe avere (non certo i tempi, sia chiaro). Il  ceo capitalism, ci metterà molto tempo a tirare le cuoia, protetto com’è dalle élite dem. dell’Occidente e dai gerarchi nazicomunisti della Cina di Xi Jinping, ma ce la faremo, perché noi, quattro gatti di liberali nature, siamo nel giusto, e la Storia, a gioco lungo, premia i giusti. Ci siamo liberati di Hitler e di Stalin, con calma e perseveranza ci liberemo pure di costoro: sono null’altro di un mix dei due.

 

Il motivo non dichiarato per cui rifiutai La Stampa era che non mi sentivo all’altezza dei giornalisti (di loro e del loro “prodotto”), li consideravo dei miti, che valore aggiunto avrei potuto dare io che venivo dall’officina a professionisti e uomini di tale spessore culturale? Questa sudditanza psicologica l’ho tuttora, ma ora c’è il Var al quale nulla sfugge, e la crisi fa il resto. Perché è nella crisi che si capisce di che pasta sei fatto tu e così gli altri. Ma non è dei giornali che voglio parlare, ma dei loro editori.

 

Mi riferisco alle undici mega navi del giornalismo italiano. Due Portaerei classe Essex: Repubblica&Stampa e Corriere:. Quattro Corazzate classe Iowa: QN, Sole, Messaggero, Giornale. Cinque incrociatori da combattimento classe Lexington: Fatto, Foglio, Italia Oggi, Verità, Libero. Curiosamente, navigano in spicchi di mare sempre più ristretti. L’élite giornalistica oggi sulla plancia delle “undici” navi da guerra è fatta di piccoli numeri. Sono pochi, ma molto simili, perché l’Accademia navale così li sforna e la routine così li plasma. Sia chiaro, sono tutti perbene, colti, spesso penne eccellenti, orgogliosi della loro indipendenza intellettuale, tutti politicamente corretti, e in modo convinto. Se dovessi fare una similitudine calcistica mi ricordano le squadre di Pep Guardiola, praticano, con automatismi perfetti, un tiki taka perenne. Una sola curiosità, si chiederanno mai se gli spettatori si annoiano o si divertono?

 

Spesso mi chiedo: se fossi uno degli undici editori, meglio uno delle due portaerei, accetterei lo status quo che caratterizza il mondo dei quotidiani italiani oggi? Costoro avranno capito la profondità delle “rivoluzioni popolari” del 4 dicembre 2016 e del 4 marzo 2018, i mutamenti culturali in corso a livello europeo che andranno a saldarsi con il grande spariglio che stanno conducendo Donald Trump e Vladimir Putin? Penseranno mica di cavarsela additando al pubblico ludibrio i loro avversari battezzandoli come “populisti”? Che pensano degli enormi rischi che la Cina rappresenta? Altro che opportunità di mercato globale. Switchare dai robot e dall’IA (intelligenza artificiale), cioè dal civile al militare, è un attimo, e sarebbe la fine. E se Xi Jinping fosse un Adolf Hitler 4.0 travestito da maitre? E nella povera Italia avranno valutato che due ragazzotti e un Professore vanitoso possono durare 5 anni? Che alle elezioni europee del 2019 l’asse politico potrebbe essere Populisti-PPE, con i primi predominanti? Che di conseguenza anche nel giornalismo potrebbe tornare in voga il catenaccio, il mitico “palla lunga e pedalare”, e l’elegante “tiki taka” messo in soffitta?

 

Lo scenario strategico del mercato dei quotidiani a me pare in grande ebollizione, mentre gli otto attori paiono curiosamente statici, quasi assenti, tengono le quote, si guardano in cagnesco ma non troppo, non crescono, e se scendono lo fanno all’unisono. Il politicamente corretto domina la loro comunicazione, il modello liberal-liberista-libertario è religione rivelata, appena ti scosti precipiti nel girone dei “lebbrosi, per dirla come il loro amico francese.

 

Leggendo questo mondo in un’ottica di business mi chiedo: cosa succederebbe se, per esempio, l’editore di una delle due delle Portaerei, liquidasse, in un fine settimana, direzione, redazione, editorialisti, tutti, senza salvarne neppure uno, e li sostituisse con giovani della Cantera, cambiasse linea politica mettendo al centro non l’establishment attuale ma le élite future, scommettendo sul cambiamento, su linguaggi e approcci nuovi? Una simulazione di un tale scenario, i relativi rischi-opportunità, i costi-benefici, e pure l’iniziale devastante tsunami delle quote di mercato, io la farei.

www.riccardoruggeri.eu

 

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