Dalla Brexit (giugno 2016) è passato un anno, nei paesi occidentali si sono succedute alcune elezioni, molte di queste hanno terrorizzato i diversi establishment, pareva che stessero per entrare in un cono d’ombra, poi le presidenziali e le legislative in Francia (lette con occhiali colorati), il ridimensionamento alle amministrative dei pentastellati in Italia, la certezza di un nuovo trionfo di Angela Merkel, hanno ringalluzzito le élite. Se noi analisti vogliamo essere seri dobbiamo limitarci a evidenziare sia il fallimento del modello del ceo capitalism, sia l’essere entrati come Occidente in una fase di costante incertezza. Il superamento del dilemma “destra vs. sinistra” con “alto vs. basso” non appare più così automatico, i cosiddetti “partiti della nazione” fanno fatica a configurarsi (in Italia Renzi & Berlusconi anche se alla fine dovessero farcela sarà lo sposalizio fra due “bolliti”, serenamente disprezzati dai cittadini), la divisione fra “vincitori” e “vinti” della “Globalizzazione” pare essere il cul de sac intermedio nel quale stiamo precipitando. E intanto abbiamo dato ai nostri figli e nipoti uno “stile di vita” non compatibile con il loro reddito (lavoretti precari e necessità del reddito di cittadinanza).
Una conclusione però possiamo trarla: a) La lealtà verso i partiti, tradizionali e non, è in drammatica caduta; b) I cosiddetti partiti populisti riescono sì a vincere le elezioni grazie al voto di protesta ma arrivati al potere franano, non avendo una ricetta credibile e uomini all’altezza. In altri termini, si tratta di sostituire leader inetti con leader incapaci. Il caso America è lì: al principe degli inetti, Obama, il principe degli incapaci, Trump. Due facce della stessa medaglia.
Pare esserci un revival della sinistra europea, probabilmente perché la “blairizzazione sindacale” è arrivata a fine corsa (oltre Marco Bentivogli ci sono solo le company union vietate dalla legge americana cento anni fa) e c’è come una sorta di pudore a tornare a parlare di lavoro dignitoso, pensando di costruire una società che campi con le buffonate delle gig and share economy, l’uberizzazione, i bonus, il reddito di cittadinanza distribuito a pioggia per sedare le persone. Nessuno che si chieda perché due valute siano considerate beni rifugio per il mondo intero, lo yen giapponese e il franco svizzero. La risposta è diversa nelle modalità ma identica nella sostanza: il lavoro (dignitoso) è al centro della politica di entrambi, sono cittadini lavoratori. In Svizzera la disoccupazione è al 3%, cioè zero, in Giappone altrettanto, ottenuta attraverso il blocco assoluto all’immigrazione e lo sfogo pilotato della robotizzazione.
Il problema del cosiddetto populismo, la Svizzera l’ha risolto, passo dopo passo, anni fa: si è creato dal nulla un partito, Udc (Unione di centro) che ormai da anni è il primo partito del paese. I partiti tradizionali (radical-liberali, socialisti, popolari) a ogni elezione trovano un accordo su un programma comune, loro vanno al governo, relegando l’Udc all’opposizione. L’essere al governo fa loro perdere progressivamente voti, soprattutto perdono tutti i referendum popolari. Attraverso il declino dei partiti tradizionali e la crescita dell’Udc (che a sua volta è costretta a stemperare il suo populismo confrontandosi, seppur come opposizione, sui problemi reali), il paese cresce. Questo modello (liberale senza aggettivi) molto pragmatico comporta l’instillare nei partiti una doppia anima, una di governo, una di opposizione, meccanismo che rende il populismo assolutamente compatibile con la democrazia. La differenza fra l’establishment svizzero e tutti quelli europei è che il primo ha preso atto, con tanta fatica, che il suffragio universale non si discute più, e l’unico modo per dargli dignità sono il combinato disposto “proporzionale puro-referendum popolari sistematici”, mentre la governabilità è una ancella. Governare significa fare compromessi, unico modo democratico per essere un paese libero. La Svizzera è l’unico paese al mondo non riconducile al nome di un leader. Osservate invece lo spettacolo osceno che ci offrono questi leader occidentali bonapartisti, pittati, rifatti, pieni di cerone, anche da giovani.