Salvini si è fatto manager: ha sparigliato costringendo tutti ad inseguirlo. La storia dirà se ha fatto o meno gli interessi dell’Italia.

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Negli ultimi giorni ho fatto il pieno di talk show e ho notato che la gran parte dei presenti negli studi televisivi, quando si tratta d’immigrazione, si dibatte nello stesso pantano. E’ uno scenario nel quale siamo precipitati da anni. Tutti partono dallo stesso presupposto: gli immigrati si trovano, come d’incanto, in mezzo al mare. Come siano arrivati lì, sembra che non abbia alcuna importanza. Questi, improvvisamente, appaiono tra i flutti e da questo dato si dipanano tutti i ragionamenti. Non un briciolo di approccio strategico, solo pancia e chiacchiere eleganti.

Ogni partecipante ai talk show – intellettuale impegnato o politico che sia – affronta la questione secondo una prospettiva, che è sempre la stessa: la sua o quella della sua fazione. C’è quello che segue la <posizione umanitaria> e dice: bisogna correre a salvare fisicamente gli immigrati (quel che accadrà dopo, ovviamente, non viene preso in considerazione). Quell’altro assume la <posizione sociologica>: dobbiamo prendere gli immigrati perché ci servono, dato che non facciamo più figli. Non manca mai il sostenitore della <posizione storica>: se gli africani scappano è per colpa dei nostri avi, del colonialismo e delle malefatte dell’Occidente, e siamo loro debitori (il Belgio senza il Congo in effetti non esisterebbe). Infine c’è la <posizione europea>, che tratta tutti gli stranieri come rifugiati – cosa non vera (per noi appena il 7%) – e dimentica che i confini dell’Italia sono anche quelli (esterni) dell’Europa, motivo per cui la faccenda riguarda pure gli euroburocrati, e non soltanto i politici italiani. Ultimamente c’è una nuova variante. A fronte della domanda: ma perché gli italiani, come ovvio non solo di destra, per quasi l’80% sono sulle posizioni di Salvini? (Ultima mazzata: il “tradimento” di Liliana Segre). Solo un intellettuale come Erri De Luca poteva trovare la risposta: “Perché gli italiani sono un popolo che non fa più figli, sono vecchi, vivono nel terrore, percepiscono una insicurezza che è tipica dell’età”. Lui non l’ha detto ma io ho percepito che Erri volesse dire: i nostri vecchi sono rincoglioniti, ergo il loro voto non vale.

Una volta scelta la sua prospettiva, il commentatore di turno non si smuove. In tutte le trasmissioni, ciascuno continua a ripetere il proprio punto di vista, e il risultato è che una soluzione non si trova mai. Nel campo manageriale, situazioni simili sono molto frequenti. E la via d’uscita è una sola: bisogna sparigliare, e farlo in modo radicale. Proprio come ha fatto Matteo Salvini nella vicenda della nave Aquarius.

Parlo per esperienza diretta, per decenni ho fatto il ceo di aziende tecnicamente fallite e spesso mi sono trovato in situazioni simili, nelle quali i vari soggetti giocavano la loro partita, bloccando la salvezza dell’impresa. In genere il primo che “spariglia” vince tutta la posta. Il caso Aquarius è un perfetto esempio di strategia manageriale. Di fronte a una platea di interlocutori tutti impegnati a guardare la propria fettina di problema, Salvini ha sparigliato le carte. Quando sparigli, costringi gli altri ad adeguarsi, a prendere una posizione. Fai emergere tutti gli errori di chi si crogiola nei suoi ragionamenti parziali.  Un esempio è Emmanuel Macron: è intervenuto (scompostamente), e ha fatto un regalo enorme al ministro dell’Interno. Lo stesso vale per lo spagnolo Pedro Sanchez: poiché in patria non ha una maggioranza, ha voluto darsi un tono mostrandosi accogliente, e così facendo ha cavato le castagne del fuoco a Salvini, che altrimenti si sarebbe trovato in difficoltà. Macron e Sanchez mi paiono sempre più simili al canadese Justin Trudeau, poi infilzato come un salmone da The Donald.

Il risultato è che ora il leader leghista è in una botte di ferro. Farà pesare ogni nave che farà approdare nei porti italiani da qui al prossimo vertice europeo. I suoi avversari – ma pure i suoi alleati – dovranno venire allo scoperto, dichiarare da che parte stanno (Silvio Berlusconi in primis). E, per inciso, sarà molto difficile per gli altri rappresentanti del centrodestra schierarsi contro il ministro dell’Interno.

Salvini, consciamente o meno, si è comportato come un manager dotato di fegato, ha sparigliato, e ora può passare all’incasso.  Per un’azienda in crisi come l’Italia, è già un risultato, bello o brutto lo dirà la storia. Una mia previsione per quel che vale (nulla): Merkel si schiererà con lui, ciò che farà Macron è marginale

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