Marine Conservation Society, un’Ong inglese, ha indetto una curiosa gara: i partecipanti dovevano vivere un mese senza utilizzare la plastica usa e getta (in tutte le sue varianti). Quelli che hanno accettato la sfida sono stati 982, non sono riuscito a sapere se qualcuno c’è riuscito: immagino di no. In un paese anglosassone, così culturalmente avanzato, immagino sia impossibile. Il collega Ian Johnston dell’Indipendent ha fallito, però ha ben descritto i drammi che ha vissuto in quel mese. Entrò subito in crisi, dal primo giorno capì, terrorizzato, che qualsiasi tipo di cibo volesse consumare era impossibilitato, in qualche modo c’era un coinvolgimento della plastica usa e getta, sia che ne fosse avvolto o accompagnato poco importava.Comprava una torta, la confezione esterna era sì di cartone, ma nell’interno era avvolta da plastica. Prendeva un caffè per portarselo in ufficio, il contenitore era sì di cartone ma il tappo di plastica. Qualsiasi tipo di sugo era in piccoli contenitori di plastica. Arrivava tardi a casa, prendeva qualcosa nel vicino takeaway, purtroppo il cibo era sì avvolto in carta di alluminio, ma consegnato in sacchetti di plastica.
Alla fine, Ian Johnston crolla, scopre che i peperoni di riso alla greca acquistati sotto casa sono sì in un vassoio di cartone, ma quel maledetto è foderato di plastica. Sconfitto, decide di abbassare l’obiettivo del 25%. Capisce che per raggiungere almeno il 75%, deve prendere una decisione drastica: mangiare sempre a casa, come i suoi genitori avevano fatto tutta la vita, e lui mai. Scopre che non sa cucinare. E qua mi viene la prima domanda: se non sai cucinare sei ancora un uomo o ti avvii a essere uno zombie o un sovrano? Che uomo sei se non ti poni neppure la domanda?
Il giochino l’ho provato anch’io, seppur per una sola settimana, comportandomi come faccio di norma quando sono a Bordighera. Non abbiamo mai voluto in casa altre persone (gli ex poveri non sanno gestire altri poveri) per cui ci siamo divisi i compiti: io compro e cucino, mia moglie fa tutto il resto. Il nostro frigo è sempre vuoto, solo acqua e vini, ciò che compro sta in frigo per poche ore, spesso compro al mattino quello che mangio a mezzogiorno, nel pomeriggio quello che consumo a cena. E’ stato facilissimo vincere la gara, per tre motivi:
1 Non compro nulla, che debba poi ingerire, nei supermercati, non per la plastica usa e getta che avvolge i singoli prodotti, ma proprio perché sono prodotti globalizzati dall’aspetto e dal sapore plastificato.
2 Se dovesse vincere il modello nazi alimentare del Ttip (malgrado Trump, temo la sconfitta) la preoccupazione delle platiche che avvolgono o accompagnano i cibi cadrebbe, i cibi marchiati Ttip sono già loro stessi plastica, solo diverso il loro destino, anziché finire nelle mitiche isole del Pacific Trash Vertex (la grande chiazza di immondizia che ammorba il Pacifico), vanno nello stomaco dei consumatori.
3 Per alimentarmi compro da coloro che producono, li conosco, osservo le loro mani, l’abbronzatura antiquaria: pane con lievito madre, torte verdi, sardinaria, pesci di paranza appena pescati, sfilettati e mangiati crudi con sale di Cervia, verdura, frutta, olio taggiasco di montagna, vini di Dolceacqua, carne e salumi arrivano dall’altra parte del colle di Tenda, la mitica provincia di Cuneo: una garanzia. Un volta alla settimana ceno al Torrione di Vallecrosia, conosco i suoi fornitori, considero Caterina e Federico due maghi della cucina povera fattasi ricca, in un mondo che si crede ricco, ed è povero, per di più pure poveraccio.
Certo, me lo posso permettere, dedico un certo tempo per acquistare e cucinare, certo, spendo il 10-20% in più di quanto se comprassi nei supermercati, ma non getto nulla, non produco scarti e immondizia, per cui il bilancio finale in termini economici, non certo qualitativo ove non c’è partita, potrebbe avvicinarsi al pareggio (per non parlare del Pil nazionale). Me ne rendo conto, per alcuni potrebbero essere nevrosi senili, per me sono piccole soddisfazioni, sempre senili.
L’altro giorno mi è apparsa una sintesi: “Ci hanno fatto credere che eravamo diventati tutti ricchi, e non era vero”.
Riccardo Ruggeri