In un recente Cameo ho ripetuto, ancora una volta, una banalità che è sotto gli occhi di tutti: la classe media sta impoverendo, la classe povera appare sempre più sedata. Eppure molti di noi credono ancora alle classifiche, tutte manipolate, dove i paesi del centro-nord Europa sono sempre ai primi posti come ricchezza: l’ultima buffonata è la giornata mondiale della felicità, di certo concepita da una mente malata, e dal sesso non risolto (forse il noto gaffeur socialista olandese Jeroen Dijsselbloem?) a scopo esclusivamente markettaro-consolatorio.
In realtà, se anziani stiamo dando fondo ai risparmi di una vita per aiutare figli e nipoti a mantenere in parte quel mitico stile di vita di cui ci sciacquiamo spesso la bocca, se giovani fingiamo di non capire che il nostro destino sarà purtroppo quello del curioso libro del sociologo Domenico De Masi “Lavorare gratis, lavorare tutti”. Per un liberale d’antan come me oscenità allo stato puro. Il mixaggio fra un marxismo feudale, tipico delle aziende canaglia di Silicon Valley, e il reddito di cittadinanza pentastellato, ancora mi mancava.
Amante del lavoro, dell’ascensore sociale, del merito, preferisco rifugiarmi nei miei simpatici “segnali deboli” per capire e combattere il ceo capitalism, quel modello bastardo che ha sostituito quello liberale. Uno di questi nasce dall’analisi di curiosi, recenti movimenti, che non essendo solo patrimoniali, chiamo “transumanza dei ricchi”. Riconosciamolo, costoro sono oggettivamente più sensibili dei cittadini comuni a percepire i mutamenti di clima politico-economico.
Ogni anno, in quest’epoca, analizzo due Report: il “Wealth Report 2017” e il “Global Health Review”. Delle migliaia di dati, vado subito a vedere quanti milionari (in dollari) abbiano cambiato paese. Nel 2016 sono stati 82.000, più 28% rispetto all’anno precedente. Un segnale per nulla debole. Anno drammatico il 2016 per la Francia (meno 10.000 milionari), per la Cina (meno 9.000), per l’Italia (meno 6.000): un segno di debolezza di questi paesi.
Ma un altro aspetto è altrettanto significativo. Come dice il ceo della banca svizzera Julius Bär, si sta palesando una tendenza originale: non sono più i patrimoni a spostarsi, si spostano i loro detentori: cambiano cioè paese con patrimonio al seguito. Stiamo forse tornando al Medioevo, quando gli sconfitti (ricchi) ottenevano il salvacondotto e una decina di muli e di bravi per andarsene con la metà del loro tesoro? Dovremmo fermarci e chiederci perché. Perché si lasciano i paesi dalla vita dolce, come la Francia e l’Italia. La prima forse perché piegata dal terrorismo islamico? La seconda forse perché sul punto di collassare, stante il colossale debito pubblico, ovvero il pericolo di una patrimoniale selvaggia? Ma perché vengono abbandonati pure molti paesi emergenti all’avanguardia? Dopo l’ubriacatura della globalizzazione, staranno mica riflettendo sul loro futuro?
Curioso, perché in contro tendenza, l’Inghilterra post Brexit, guadagna nuovi milionari, così gli Stati Uniti di Donald Trump. E che dire di banchieri svizzeri che cominciano a ricevere da clienti del sud Europa, detentori di capitali regolarmente denunciati alle autorità fiscali del proprio paese ma postati in Svizzera per la gestione, un allerta per trasferirli, in caso di implosione dell’euro, addirittura in Russia? Il losco Putin garante della sicurezza dei paperoni? Se così fosse, allora il mitico “vento” starebbe effettivamente cambiando.
In una situazione di tal tipo provo tenerezza verso il trio Renzi-Gentiloni-Padoan che dopo aver tanto blaterato contro i paradisi fiscali, e la Svizzera in particolare, dando ridicole pagelle, liste di proscrizione con cento sfumature di nero, ora si mettono a scimmiottarli con l’imposta globale secca annua di 100.000 euro, qualunque sia il loro reddito e i loro patrimonio a livello mondiale. Siamo tutti curiosi di vedere se i primi due a precipitarsi in Italia, con i loro muli carichi d’oro, saranno i riferimenti culturali mito di una certa stagione politica: David Serra e Sergio Marchionne.
Riccardo Ruggeri