Mai mi sono sentito, come oggi, un osservatore disincantato, eppure innamorato di un momento emotivamente interessante, dove ciascuno di noi si sente al contempo coinvolto e respinto. Osservo che ci stiamo spaccando su qualsiasi argomento, la nostra società rassomiglia sempre più a un condominio in preda a un idiota continuo bisticcio. E’ da anni che scrivo, ottusamente: perché non ci fermiamo per qualche mese a riflettere tutti insieme? Perché non trasformare il Parlamento in un’Assemblea permanente che, per una settimana, tutti presenti, discuta un programma minimo condiviso su lavoro, immigrazione, terrorismo jihdista, economia. E prima di ciò, si superi il paracarro referendum? Ci rendiamo conto in che cul de sac ci siamo infilati?
Prendiamo Repubblica, il giornale principe del mondo liberal, quello che fa tendenza. E’ stato sufficiente che il suo fondatore, nella rubrica domenicale, sostenesse che Gustavo Zagreblesky avesse perso il confronto su La7 con Matteo Renzi, per di più con il classico 2-0, che più della metà dei lettori insorgesse, schierandosi dalla parte del costituzionalista. Il direttore Calabresi, di cui sono note le simpatie, è stato costretto a intervenire per attenuare, sopire, arrivando a dare legittimità sia al No di Casa Pound che al Si delle multinazionali anglosassoni (giusto, perché il parallelo fra le due entità è corretto). Lo spazio assegnato a una feroce Nadia Urbinati, e l’aver costretto a un faccia a faccia scritto l’ex Presidente Napolitano con Salvatore Settis (mi auguro che Eugenio Scalfari assegni il 2-0 a Settis) è a dimostrazione del terremoto creato dal fondatore nei delicati equilibri del giornale, quindi nelle élite del paese.
Chi mi legge sa che mi limito a fare analisi, in genere rifiuto di dare ricette, anche perché il più delle volte non le ho, ebbene questa volta la situazione è talmente grave che, seppur con un certo pudore, mi lancio. Lo faccio perché ho la certezza che chiunque vinca, il 5 dicembre ci ritroveremo come Amatrice, mentre lo sciame sismico continuerà per chissà quanto tempo, il paese sarà ridotto a un cumulo di macerie emotive, il tessuto sociale si sarà ulteriormente lacerato sul nulla. A questo si aggiunga che grosse nuvole nere stazionano sui nostri cieli, molti di noi percepiscono, animalescamente, che stia per succedere qualcosa di grave, e si chiedono, è ancora possibile un ricupero? Penso di sì, noi uomini di business e di management, di fronte a posizioni radicalmente antitetiche, adottiamo una tecnica negoziale che io chiamavo “il compromesso freddo”. Quando il negoziato si blocca, entrambi devono rinunciare, a favore della controparte, a uno dei due corni della soluzione, e lo fanno in modo leale. La soluzione perciò è “fredda”, è un brutale scambio: in questo caso quelli del No si schierino per il Si al referendum, quelli del Si si schierino per un sistema proporzionale stile Consultellum, e appena possibile si vada alle urne. Il 4 dicembre andremo felici a depositare il nostro Si, sicuri che presto si possa finalmente votare con la certezza di non essere governati da una minoranza artatamente mascheratasi da maggioranza.
Il Si alla legge costituzionale serve per ripristinare l’unità del paese, così il Consultellum. Oltretutto, sono proprio le élite, tutte tese a mantenere il potere, che nei periodi di crisi drammatiche come questa hanno bisogno di un sistema elettorale proporzionale. Le classi medie e povere, a torto o a ragione, li hanno individuati come i colpevoli della Grande Crisi (un maggioritario sconcio come l’Italicum era lì a dimostrarlo), e ciò era inaccettabile. E’ il dilemma che ha l’America, scegliere fra una disonesta e un buzzurro. La governabilità? Non scherziamo, cosa può fare un povero premier (chiunque sia) con una situazione del tipo: Pil fermo a 1.600 miliardi, debito a 2350 in crescita, un’occhiuta Bruxelles chiede il rispetto dei trattati, noi incapaci a fare una feroce spending review per abbattere il debito, risultato: una manovra di 22 miliardi, di cui 15 sono destinati a impegni del passato. Ne restano 7. Questa non è governabilità, è impotenza certificata. Smettiamola di dividerci o finiremo male.