All’inizio della settimana che potrebbe darci il prossimo Presidente della Repubblica, come analista apòta (confesso che a titolo personale mi è indifferente chiunque venga scelto) mi sono posto due domande che non ho trovato sui media, e neppure sulla rete. Tutti danno per scontato che Mario Draghi vada dove deciderà il nuovo Presidente e il Parlamento. Curiosa questa arroganza della politica e dei media di considerarlo un ninnolo buono sia per la camera da letto che per il salotto. E’ stato per tutta la vita un grande mediatore e conosce perfettamente qual è il suo valore di mercato in questa vicenda. E sa pure che le carte pregiate le ha solo lui, i politici possono solo dire “No” alla sua persona.
Perché Mario Draghi non dovrebbe ambire a diventare Presidente della Repubblica senza scendere a patti?
Perché Mario Draghi dovrebbe accettare di continuare a fare il Premier dopo il fine mandato di Sergio Mattarella?
Nessuno sa, salvo loro due, cosa si siano detti un anno fa quando il Presidente lo ha pregato di aiutarlo a portare a termine il suo mandato. Sia chiaro, trattandosi di loro due nulla di men che corretto, ma sarebbe stato umano ragionare sul dopo. Draghi, quando ha accettato l’incarico a termine, in coincidenza del fine mandato, aveva ovviamente in testa una sua strategia personale. Sapeva di non essere né un politico né un rettore di Università alla ricerca dell’ultimo nastrino, ma l’ex Presidente della Banca Centrale Europea, uno della cinquina dei “Padroni” del mondo occidentale. Ancora oggi, chiunque chiami al telefono, costui si alza in piedi.
In termini di immagine, con questa scelta aveva tutto da perdere, nulla da guadagnare. Oltretutto conosceva perfettamente la due sublimi definizioni di Rino Formica sulla politica (“è sangue e m….) e sui politici italioti (“una corte di nani e di ballerine”), sapeva che comunque la sua immagine ne sarebbe uscita in qualche modo “sporcata”. E dopo un anno così è stato. Le élite, sia quelle al potere che quelle all’opposizione, non lo amavano prima, figuriamoci dopo averlo visto operare con piglio brusco, come si conviene a un leader. Non facciamoci distrarre dall’apparenza: i poteri consolidati e la grande stampa per un anno hanno usato con lui parole dolci, ma era evidente che si trattava di pura piaggeria (as sa mai). Senza dirlo la pensano, depurata dalla volgarità del linguaggio della Rete molto critica su di lui, come le varie opposizioni che si sono andate creando dopo le sue scelte sulla politica vaccinale e del green pass.
Con un profilo professionale e umano come il suo, dopo aver “servito la Patria” per un anno, a settantacinque anni ritiene di avere il diritto di decidere come passare gli ultimi anni della sua vita. Un’assunzione che non ho trovato nelle varie analisi, tutte scritte in politichese stretto.
Non credo possa accettare di continuare a rapportarsi per un altro anno con i Sei leader nostrani (tre del centrosinistra e tre del centrodestra), con le loro nevrosi, con i loro problemi (il 2022 è un anno elettorale). Non ha nulla in comune con costoro se non l’amore per l’Italia e per il potere. Sarebbe un suicidio intellettuale il suo, in totale controtendenza rispetto al suo passato, alla sua storia personale. Una cosa era battagliare con Angela Merkel, con Jens Weidmann, altro scontrarsi con uno o più dei Sei leader nostrani. Appartengono ad altri zoo culturali.
Questi sono di fronte a un dilemma. Se non vogliono nominare Draghi Presidente della Repubblica, (e non lo vogliono) ma uno di loro, il 3 febbraio Draghi sarà come ovvio dimissionario. Mi pare molto difficile che voglia continuare a fare per conto di costoro il lavoro sporco del PNRR che essi, neppure tecnicamente, sono in grado di fare.
Quindi, suggerisco a costoro, per portarsi avanti con il lavoro, che trovino già ora, fra le loro file of course, oltre al Presidente anche il futuro Premier. Prosit!