Un anno fa decisi, come editore, che avrei pubblicato, nella prima settimana di dicembre 2024, un Cameo “celebrativo” sui miei novant’anni. Ero arrivato all’ultimo miglio di una vita meravigliosa (forse perché mi ero imposto di mai allontanarmi da me stesso, e da come mi avevano plasmato mia mamma e mio papà) e pensavo di essere ancora sufficientemente ironico per potermi autocelebrare. Lo scrissi allora, e il primo sabato di questo dicembre uscirà.
Rileggendolo ho scoperto però che al lettore mancavano molte informazioni per cogliere l’ironia presente nel testo. Per esempio, per quarant’anni ero vissuto nel mondo della Plebe, mentre nei successivi cinquanta nel grande Zoo del Patriziato (seppur negli spazi riservati ai patrizi di complemento, modo elegante per dire maggiordomi). Oggi cosa sono? Un vecchio plebeo rincoglionito o un anziano patrizio lucido? Perché i plebei vecchi non possono che essere rincoglioniti, mentre i vecchi patrizi sono sempre lucidi? Il caso Joe Biden è stato paradigmatico.
Il lettore capirà che ho avuto una grande fortuna nella vita, anche se la partenza non prometteva nulla di buono. Il 1934 fu l’anno zenit per Monsù Cerutti (in casa nostra il nome del Duce non fu mai pronunciato) tutti gli italiani, salvo gli operai, i contadini, gli ebrei, erano fascisti convinti, per cui nascere in una famiglia antifascista (schedata), anticomunista, e pure antiliberal, non pareva il massimo. In realtà, per me non fu poi così.
Essere un plebeo certificato ma pensante nell’Italia cattocomunista del dopoguerra per me è stato un asset. I patrizi delle due parti parlavano tanto di libertà, ma in realtà i costituenti, tutti patrizi delle due ideologie dominanti (liberal-democratici e social-comunisti) si erano spartiti, in modo osceno, il potere: agli uni l’economia, l’ordine pubblico, la politica estera (Premier, Presidente della Repubblica, Corte costituzionale compresi) agli altri i magistrati, la scuola, la cultura, i media, sempre però sotto l’ombrello coloniale del dollaro e del tallone militare americano. Sono passati ottant’anni, nulla è cambiato, gli “attovagliati” sono sempre quelli. L’importante era saperlo.
Poi, per meglio comprendere cos’era il mondo occidentale d’allora, indossati i panni di patrizio di complemento, sono vissuto nel Regno Unito e negli Stati Uniti, tutti paesi finto liberali per eccellenza. Quindi nella Svizzera di antica impronta massonica, ma con il miglior modello di elezione e di governo al mondo, entrato però in una crisi che pare irreversibile.
Mi godo questi ultimi frammenti di vita praticando a mia volta un giochino intellettuale rivolto a un possibile scenario futuro, più frutto di percezioni personali che di oggettive possibilità analitiche e statistiche del suo verificarsi. Sarebbe bello, mi dico, rendere possibile a tutti il vivere in un mondo ove il passaggio da plebeo a patrizio (e viceversa) fosse un processo e non una gabbia.
Mi sono convinto che dipenderà tutto dalla capacità che avranno quelli che io chiamo plebei dall’uscire dallo zoo di periferia in cui sono stati relegati e marchiati dai patrizi (tre i loro recinti ideologici: destra, sinistra, centro, tutti finti) visto che il modello organizzativo dell’umanità, nella sostanza non è mai cambiato da diecimila anni. Sempre articolato, gratta gratta, in due sole classi sociali: L’Imperatore con il Patriziato (sua protesi operativa) e la Plebe (al massimo con il suo Tribuno, purché patrizio). Ma mai è diventato un processo, dove ci sia osmosi fra i due status. E la modalità c’è, e non è la rivolta, ma le urne.
Per esempio, le ultime elezioni americane i plebei ci hanno consegnato una curiosa Presidenza binaria, quella Trump–Musk. Premesso che non mi piace la hybris dei due, non ho ancora capito se sia stata una banale lotta di potere fra patrizi dem e patrizi rep, ben gestita in termini di comunicazione da resort, o qualcos’altro. Allo stato dei fatti, per ora appare una presa del potere (democratica) di due patrizi rep che usano spregiudicatamente (come hanno sempre fatto, e in modo orrendo, i dem) la Plebe come leva.
Solo vivendo capirò meglio ciò che intendeva Montaigne: “Tutto è movimento irregolare e continuo, senza guida, senza meta”. Ma io so come difendermi: continuare a studiare, a studiare cose nuove, a sognare nuovi scenari, a scrivere, a pensare con la mia testa, a comunicare le mie idee, giuste o sbagliate che siano, con sincerità e ironia. Fino all’ultimo giorno. Prosit!