E. P. di Torino mi scrive, con rara competenza tecnica, un lungo memo personale che sintetizzo: “Ho letto il suo Cameo su Verità riferito all’industria dell’auto americana e l’intervento di politica industriale di Trump. Mi stupisco che un liberale come lei sia implicitamente a favore di una “politica industriale” come quella imposta ai tre costruttori americani. Non capisco poi perché, sempre uno come lei, ex manager di successo, focalizzato sull’innovazione di prodotto e organizzativa, possa liquidare come “ridicole” le auto a guida autonoma (driverless car, Google car, etc.). Ho troppa stima in lei per non ipotizzare che ci sarà di certo qualcosa che mi sfugge”.Una precisazione, caro E.: solo i politici nostrani pensano che l’America sia liberista. Lo è q.b., quanto basta, certo lo è per i prodotti venduti da Walmart (80% cinesi), per i business strategici è biecamente nazionalista-statalista. Prendiamo proprio il caso Fca, rileggiamolo freddamente a otto anni data (marzo 2009, ci ho scritto pure un libro). Obama, con modalità da gangster, facendo pure tintinnare le manette (si leggano i “ritagli” d’epoca), sottrae la proprietà di Chrysler ai tedeschi di Daimler (vi avevano investito montagne di quattrini, perderanno 60 miliardi $), in pratica la nazionalizza. Così salva anche il “finto” acquirente Fiat Auto (appena battezzato da Moody’s junk, spazzatura), le affida entrambe per integrarle a Sergio Marchionne. Oggi Fca è americana, se l’interesse nazionale lo richiederà, Trump, in continuità con Obama, fonderà Fca in Gm,. Nel frattempo, Gm deve liberarsi di Opel, la possiede dal 1929, negli ultimi anni ha perso 15 miliardi $, tratta con Peugeot per cederla. Merkel si oppone, a differenza dei nostri politici non crede alla favoletta “è indifferente ove sia allocata la proprietà”, lei sa come andrà a finire: i francesi “ottimizzano” la produzione, chiudendo gli stabilimenti fuori dalla Francia.
L’Italia, verginella liberista fra puttanieri statalisti, ha fatto tutt’altra politica. Cosa ci è rimasto? Quattro stabilimenti “cacciavite” e l’unica città industriale, Torino, ricca di innovazione, lavoro, patrimonio, ridotta a banale città della cultura (baristi in luogo di progettisti). Tutte le altre 14 aziende storiche dell’industria delle industrie, sono rimaste nei loro paesi d’origine, difese con ferocia dai rispettivi Governi: tre in America, otto in Giappone, tre in Germania, due in Francia. Chi prova a toccarle, è fulminato.
Tutti i Governi fanno “politica industriale” nazionalistica, per un motivo ovvio: non possono perdere un business ad alto tasso di occupazione (per ogni posto di lavoro interno, ve ne sono quattro all’esterno). Oggi, per un Paese avere un alto tasso di occupazione di qualità (non uberizzata) equivale ad avere materie prime di pregio. Il lavoro vale più del petrolio, è “ricchezza”, è “pace sociale”. Chi finge di non capire o è idiota o in mala fede. L’interesse nazionale, il lavoro, è più importante delle teorie economiche modaiole.
Circa le auto a guida autonoma (driverless) confermo che non le prendo in considerazione fino a quando la “Legge” dei singoli paesi non avrà definito le specifiche tecniche alle quali qualsiasi prodotto deve sottostare per essere venduto. Nella fattispecie, come debba essere programmato l’algoritmo, nel caso in cui pedoni attraversino d’improvviso la strada, e si debba scegliere: sacrificare la vita dei pedoni o dei passeggeri? Sul sito Moral Machine del Media Lab dell’Mit (moralmachine.mit.edu) c’è un video che illustra le varie ipotesi e raccoglie opinioni. Per ora è solo un videogioco, lo si trasformi in leggi, poi ne parleremo.
Bene ha fatto Trump a indicare in modo chiaro la politica industriale dell’auto americana, è poi la stessa seguita, in silenzio e da sempre, da tutti i costruttori. Lasciamo Elon Musk a realizzare la sua vision automobilistica del mondo futuro: “Fondere l’intelligenza biologica e quella artificiale”. Che vorrà dire, si sente più Dio che costruttore d’auto?
Che piaccia o meno, per ora, il mondo dell’auto è dominato dall’interesse nazionale dei singoli governi che praticano politiche industriali conseguenti. Una sola certezza ci è rimasta, l’Italia è definitivamente fuori da questo mondo. Prosit.
Riccardo Ruggeri