Sabato 25 marzo si sono svolti, in contemporanea, due riti, uno a Milano, per noi cattolici, il rito più alto e più antico, la messa di popolo di fronte al successore di Pietro, l’altro a Roma, per noi cittadini europei, il rito di commemorazione di una firma apposta sessant’anni fa. Due organizzazioni umane in crisi, una però vogliosa di riprendersi, l’altra piegata su se stessa. In una c’era un papa, un vescovo, un popolo, in tre luoghi diversi, piazza Duomo, parco di Monza, stadio di San Siro, oltre un milione di persone festanti, en plein air. Nell’altro 27 premier, le loro rispettive corti, qualche decina di aficionados, travestiti da popolo. Uno spettacolo triste che si è consumato nella penombra di stanze antiche, di norma non accessibili ai parvenu.
Quando nel marzo 1957 l’Europa nacque avevo 22 anni, come tutti sognavo un luminoso futuro per questo continente, civilissimo e criminale a seconda dei luoghi e dei tempi. Avevo riposto una grande fiducia in Luigi Einaudi e in Alcide De Gasperi, che tanto bene fecero per la nuova Italia. Mi interessavo di politica, non perché la volessi praticare, ma perché mi piaceva studiarla, ne ero affascinato, però capii subito che non faceva per me, ero troppo intellettualmente indipendente.
Quando nel 1954 la famosa Ced (Comunità europea di difesa) fu bocciata, dalla stessa Francia che l’aveva proposta, alcuni analisti d’epoca capirono che una vera Europa federale non sarebbe mai nata; ne ebbi conferma molti anni dopo, nel 2005, con la bocciatura della Costituzione da parte dei cittadini francesi e olandesi, via referendum. In questo caso, per quel che vale (nulla) io allora fui con quei cittadini, e lo sarei tuttora, se solo ci dessero l’opportunità di votare. Nessuna organizzazione umana occidentale, degna di questo nome, può crearsi e sopravvivere senza una dimensione religiosa. Un sant’uomo come Giovanni XXIII, politico finissimo, sosteneva che senza un riferimento forte alle radici giudaico cristiane l’Europa non avrebbe mai retto, e così è stato. La supponenza in politica non paga.
Un lettore che da anni segue i Camei, Luca Balzi di Vicenza, mi ha inviato la foto della Sala Regia del Palazzo Apostolico, ove un tempo i Papi ricevevano i grandi del mondo, e ora Papa Francesco ha accolto i 27 premier. Acutamente osservava come i quadri alle pareti (Giorgio Vasari, i fratelli Zuccari) avevano lo scopo di ricordare a Re e Imperatori la preminenza della religione sulla sovranità temporale. Immagino volesse intendere che il popolo, oggi unico padrone della sovranità, non potrà mai essere dalla loro parte: condivido
Non c’è dubbio che “questa” Europa i suoi 60 anni se li porta male, molto male. Le sue patologie sono così evidenti che non abbisognano né della Tac, né della Pet: per molti paesi l’indebitamento è insostenibile, così la disoccupazione, specie giovanile, è inaccettabile, le soluzioni adottate spesso velleitarie e intempestive (Euro, Schengen, Dublino), una burocrazia ridicola (regolette idiote su problemi idioti), necessità non di aumentare la centralità, ma di decentralizzare le competenze (come dicono i francesi con i pesci di un acquario si può fare una bouillabaisse ma da una zuppa di pesce non si ricostruisce un acquario). E poi la smettano di confondere il federalismo competitivo con forme di regionalismo burocratico. Faccio mie analisi, qua riprese, e conclusioni di un imprenditore e politico svizzero, Tito Tettamanti: “Ci vuole una soluzione federalista, basata sulla sussidiarietà, un mercato comune non burocratico, la concorrenza dei sistemi. Ma ciò vorrebbe dire smantellare il potere tecno-burocratico di Bruxelles pronto a difendersi fino alla morte”.
Buona l’idea di riprendere il progetto della difesa comune e di forze armate europee, ma costoro sono intellettualmente degli eunuchi, temo che nell’execution si inventerebbero chissà quali regole d’ingaggio, che snaturerebbero qualsiasi forza armata. Sono individui culturalmente lontani dal presupposto che sta alla base del concetto di difesa: Si vis pacem, para bellum.
Riccardo Ruggeri